Il ragno Moody’s tesse e stende la sua tela sui paesi del Mediterraneo, ormai declassati a terzo mondo.

Di Andrea Atzori
E’ un vero e proprio buco nero quello che minaccia di risucchiare nel baratro i paesi le cui coste si protendono nel mediterraneo. In questi tempi di grande sviluppo industriale e tecnologico, nonchè di miglioramento delle condizioni di vita anche delle classi sociali più povere, ci si scopre a danzare ai margini di un ciclone vorticoso, già pronto ad ingoiare tutto. Come è possibile che dalle stelle si sia caduti, direttamente, nelle stalle? La risposta è assai semplice, anche se a molti quadri dirigenti di partiti e sindacati farà assai male ammetterne la verità. Si tratta, in effetti, di una crescita economica che non c’è mai stata, perché era una pura illusione. Giochi di prestigio usati per far credere di essere stati capaci di risolvere i problemi e realizzare le speranze del popolo. In effetti, di questo decantato successo politico ed economico non esiste niente, è una vera e propria bolla di sapone. Il paese è a rischio fallimento per l’eccessivo debito pubblico, uno dei più alti al mondo. Poco tempo fa, il ministro Tremonti, decantava le lodi delle terre celtiche padane, fornendo motivi per credere in un divario nord-sud Italia, di origine e caratteristiche pressoché razziali. Si spingeva fino a sostenere che il suo nord fosse la regione più florida d’Europa e che, in più occasioni, fosse stato in grado di portare il debito pubblico italiano ad un livello inferiore a quello della stessa Germania. Pare che così non la pensino le agenzie internazionale di rating ed in primo luogo l’americana Moody’s, che minaccia di declassare l’Italia per il suo debito pubblico e difficoltà a raggiungere un livello di crescita economica accettabile. Francamente, credo che il problema di tutti i paesi mediterranei non sia solo quello di non riuscire a tenere il passo di quelli del nord Europa, ma che al fondo esista un’altra realtà ben più amara, che è quella insegnata nei manuali di economia politica. Cioè la fortissima esposizione degli Stati debitori a subire le ingerenze politiche nei propri affari interni da parte dei quelli creditori. La funzione della disponibilità, sempre espressa fin dagli anni ottanta del secolo scorso, dal FMI ad elargire prestiti colossali ai paesi poveri dell’area del Mediterraneo, come Italia, Grecia, Spagna e Portogallo era proprio fondata sul calcolo della funzione politica e militare strategica che il debito pubblico statale ha sempre svolto nei secoli. Se riflettiamo seriamente, l’Unione Europea non ha avuto altro effetto positivo per questi paesi se non quello di consentire un accesso, non so quanto agevolato, al credito. Intanto, gli Istituti finanziari cominciavano ad avere riconosciuti dei grandissimi privilegi, proprio per le politiche economiche imposte dall’Europa unita, in primo luogo l’azzeramento dell’interesse sui depositi bancari dei piccoli risparmiatori. Chi teneva delle somme, anche piccole, in banca, fino agli anni ottanta, aveva diritto ad ottenere il pagamento degli interessi su di esse. Abbiamo assistito, in quegli anni, alla progressiva erosione dei tassi di interessi sui depositi bancari, fino alla loro definitiva eliminazione, proprio in ottemperanza alle direttive europee. Questo ha prodotto un incessante arricchimento illegittimo, da parte degli operatori finanziari a discapito dei risparmiatori, che si è tradotto in una prima, immorale, distribuzione della ricchezza a favore di istituti finanziari di nazionalità estera. Immorale perché sovverte il principio che sta alla base stessa del credito che è quella per cui i soldi, come qualunque altro bene della vita, producono frutti, cioè interessi. Questo fu il primo grazioso dono che l’Unione Europea ha fatto alle Nazioni più ricche, quelle che, fin da quegli anni, hanno cominciato a finanziare il debito di quelli poveri. Le ingerenze nei fatti interni di questi, sono assai palesi,si possono ben ravvisare, persino, in questa tempestiva azione contro lo Stato italiano con la minaccia di declassamento del suo debito pubblico, proprio all’indomani dei referendum, in specie quello sull’acqua che ha decretato la fine della legge sulla sua privatizzazione. Perché, la filosofia di questi organismi è solo quella che gli Stati visti con ostilità, devono procedere, sempre, ad un’opera di smantellamento delle proprie strutture. Quello che è stato fatto dai governi nazionali in questi decenni, è stato principalmente, questo continuo attacco alle istituzioni statali. Per primo il fenomeno del leghismo è da analizzare proprio sotto il profilo della sua antinomia e opposizione allo Stato. Il liberismo selvaggio e contraddittorio, concepito come un modo per sottrarre patrimonio all’erario pubblico, sia con le privatizzazioni dei beni e delle funzioni pubbliche, sia con l’eterno sostegno finanziario alle imprese, che non solo non investivano in Italia e non assumevano, ma che, addirittura, lo facevano all’estero, arricchendo con i soldi dei contribuenti italiani le economie di Stati esteri. Come è possibile che l’aumento delle tasse, le privatizzazioni ed i tagli elefantiaci alla spesa pubblica possano essere destinati alla regressione del debito pubblico, quando dagli stessi organismi monetari internazionali che viaggiano a braccetto con le economie nordiche, in quanto i massimi dirigenti, finora, sono stati tutti di queste nazioni, viene preteso ed imposto il loro impiego diretto al sostegno all’apparato industriale? Credo, personalmente, che sia venuto il momento di un cambio nella dirigenza del FMI, anche in seguito all’episodio, gravissimo, dell’arresto, per violenza carnale, del suo direttore di nazionalità francese, Strauss-Khan. Infatti, non desta meraviglia che siano questi i personaggi che finora hanno determinato il destino delle economie mondiali. Semplicemente, gente senza scrupoli, protesa a creare le premesse per futuri sconvolgimenti e catastrofi economiche e militari mondiali. Personalmente, sono d’accordo sul fatto che siano i paesi emergenti ad esprimere il nuovo massimo responsabile di questa organizzazione mondiale con funzioni delicatissime. La pretesa incapacità dell’Italia a risanare la sua posizione debitoria nei confronti dei creditori esteri è dovuta a motivi ben chiari che attengono alle caratteristiche particolari del nostro apparato produttivo, in cui le aziende oltre che essere dislocate prevalentemente al nord e non diffuse per tutto il territorio nazionale, sono, anche di piccola e media dimensione, rendendolo, per ciò stesso, inadatto a fronteggiare una concorrenza internazionale che esprime giganti come Cina ed India. L’Italia è la nazione più colpita dal fenomeno della globalizzazione, perchè la sua economia è come un nano in un mondo ormai troppo sviluppato. L’ottusità dei politici ed il sentimento di ingordigia ed invidia del nord ha mantenuto il sud, ma anche, prevalentemente, il centro Italia,  in una situazione di arretratezza endemica, a causa non solo dell’economia ancora agricola dei tre quarti del suo territorio, ma delle stesse dimensioni mignon del tanto vantato, come un gioiello all’occhiello,  sistema industriale e finanziario del nord. Inoltre il debito pubblico non è dovuto, esclusivamente, alle spese pubbliche, in senso stretto, ma ciò di cui tacciono i politici, è, invece, la dimensione stratosferica delle risorse finanziarie pubbliche riversate sull’economia privata, di cui si avvantaggia solo il nord e che, comunque, consiste nel solito metodo sbagliato di delimitare la zona industriale del paese entro confini troppo angusti che non gli consentono di raggiungere una forza ed una dimensione tale da fronteggiare, da pari a pari, le altre economie del mondo globalizzato. Le pulsioni secessioniste del nord denotano, pertanto, la sua stessa inadeguatezza morale all’adattamento ai portati culturali, scientifici e tecnologici, della modernità. Mai come in questo frangente storico particolare, il nord Ialia ha bisogno del suo Sud per evitare il disastro economico, che, inevitabilmente, trascinerebbe con se l’intero paese.  Il salto di qualità della politica economica nazionale, dipende molto dalla capacità del popolo di afferrare questi concetti. Perchè una energica virata nella selezione della classe dirigente sarà impossibile, senza la presa di coscienza di tutti i cittadini sull’importanza della coesione nazionale, per respingere gli attacchi mirati della comunità internazionale sul fronte della lotta, senza esclusione di colpi, in cui ciascuno membro pensa solo  alla  propria sopravvivenza a discapito degli altri. Senza il Sud, la c.d. Padania, oltre ad una probabile e terribile guerra di secessione, dovrà sperimentare il giogo coloniale delle potenze teutoniche. Non troveranno Alberto da Giussano a difenderle. Ma, sicuramente, neppure uno dei leaders leghisti, sui quale ripone le sue speranze. Da non dimenticare il fatto che un sistema così concepito, cessa di essere produttivo per diventare parassita, in quanto assistiamo al solito penoso dramma  degli industriali che mendicano  stanziamenti finanziari di miliardi di euro per evitare il loro fallimento. Quando si punta il dito sul debito pubblico, come un male derivante dalle spese fuori controllo del settore pubblico, si fanno due grossolani errori, di cui i soliti sapientoni delle organizzazioni internazionali, sono perfettamente coscienti. Primo, lo Stato taglia sempre più sui servizi, ma spende, invece, tutto ciò che risparmia per sostenere la crisi economica dell’apparato industriale del nord, divenuta, questa sì incontrollabile, a causa della globalizzazione sia della crisi che dei mercati. Secondo, gli stessi industriali che reclamano risorse pubbliche, come un bimbo il latte della mamma, non pagano le tasse, dimenticandosi, per così dire, di contribuire e concorrere all’accumulo di quelle risorse finanziarie di cui sono i principali beneficiari. Inoltre, come detto, non investono ed assumono in Italia, ma all’estero, ponendo in essere quel fenomeno deleterio che è la fuga dei capitali all’estero. I soldi pubblici, accumulati quasi esclusivamente con le tasse pagate dai lavoratori dipendenti, finiscono per arricchire gli altri Stati. La mancanza non solo di amore patrio, ma di scrupoli morali dell’imprenditore del nord è, veramente, un fenomeno indecifrabile. Quando si accusa l’Italia che oltre ad avere un debito pubblico stratosferico, cresce poco, dell’ordine dello 1%, mentre gli altri partners europei viaggiano a velocità molto superiori, tra il 4-5%, si punta il dito sempre e solo sulla struttura amministrativa dello Stato, perchè, evidentemente, si mira allo sgretolamento dell’impalcatura, dell’impianto,  su cui si regge lo Stato, che è, in effetti, lo Stato stesso. Anzi si incita il governo a regalare sempre più beni e soldi ai privati. Il motivo è assai chiaro, perchè i fatti parlano da soli! Aggiungiamo pure l’annotazione  che le istituzioni europee hanno sempre imposto delle direttive opposte a quelle che potevano essere utili per un risanamento economico dei paesi mediterranei. In una nazione come l’Italia, in cui il problema fondamentale che ostacola lo sviluppo economico e il progresso sociale è quello dell’estrema rigidità della sua struttura sociale, conformata in senso gerarchico, una direttiva europea concepita, esclusivamente, allo scopo di realizzare il disegno di distribuire lauree ai funzionari statali assunti senza titoli di studio perché raccomandati, e spianare loro l’accesso alle alte funzioni dirigenziali, si capisce bene che è destinata a produrre, volutamente, un effetto esattamente opposto a quello della mobilità sociale di cui avrebbe, estremamente, bisogno il nostro paese. Perché, come è stato dimostrato, i giovani laureati sono rimasti disoccupati, gli stessi laureati già assunti nella P.A. non hanno fatto carriera, e gli ignoranti sindacalisti hanno potuto lottizzare le alte cariche dello Stato. Ogni azione dell’UE è stata ispirata da propositi regressivi non progressivi. A farne le spese sono i paesi latini dove viene impedita quella evoluzione e modernizzazione della struttura sociale che si trova, ancora, in una condizione medioevale. Diciamo che non è Sud ad essere la palla al piede della UE, ma che è, esattamente, il contrario. Perché impedisce quello scossone che la società ancora aspetta. Una rivoluzione che dipende molto dalla buona volontà dei governanti se sarà pacifica o violenta. Le sommosse popolari, in Grecia, possono far capire il grado di rischio che tutta l’area del mediterraneo sta correndo, pensando a quello che potrebbe succedere in Italia, od in Spagna e Portogallo, quando la crisi economica si farà più dura.