L’on.le Di Pietro, se rifiuta il suo sostegno al governo Monti, spiana la strada all’on.le Letta. E’ tutto dire!




Di Andrea Atzori







In queste ore cruciali per il destino della nazione, le forze nemiche si ricompattano contro l’ipotesi di un governo di salvezza nazionale. Cadono, finalmente, i veli dietro ai quali nascondevano la loro vera identità. A parte la Lega nord, da sempre nemica giurata dell’unità nazionale, il movimento di Di Pietro è ormai avviato a calarsi la maschera, dietro la quale, però, già in tanti sospettavano si celasse quella di un temibile nemico dell’ordinamento repubblicano. Appare chiaro che la candidatura a capo del governo del professore, oggi senatore Monti, sta spaccando le forze politiche del nostro paese in due parti: la componente di estrema destra del PDL, ossia gli ex AN e quella più berlusconiana  tra cui i ministri Brunetta e Sacconi, a cui si associa la Lega nord e l’IDV di Di Pietro; alla quale si contrappone quella moderata, rappresentata dal terzo polo, dal PD e dal resto del PDL. L’energia che attrae queste forze contrarie al progetto di un governo di unità nazionale è assai evidente. Tutte, infatti, si connotano  per la loro forte impronta estremista e radicale. Guarda caso, sia la Lega che Di Pietro, ricorrono a pretesti di tipo populista per giustificare questa loro risoluzione diretta ad affossare l’Italia. Ecco che Bossi si erige a strenuo difensore dei pensionati e Di Pietro si scatena contro le Banche, al fine di impedire che si costruisca una maggioranza in grado di sostenere un nuovo governo a guida Mario Monti. Eppure tutti abbiamo assistito, in diretta televisiva, dal parlamento nazionale, all’indomani del risultato referendario,  alle dichiarazioni di Di Pietro con cui affermava di essere ideologicamente più vicino alla destra berlusconiana che non alla sinistra democratica. Questa stridente politica che rivendica la sua presunta natura di estrazione liberale ma poi, subito,   la condanna come nemica del popolo, è una dimostrazione lampante dell’uso che, questi pseudo leader, fanno degli strumenti democratici, cioè, maschere dietro alle quali nascondere il loro vero volto.  In effetti, per non parlare degli ex AN, da sempre a vocazione estremista di destra, anche  Bossi e Di Pietro stanno perseguendo lo stesso scopo. Cioè una perpetuazione del berlusconismo.  Come fenomeno non politico, ma di radicalizzazione dello scontro dentro al sistema democratico, al fine di causarne l’implosione. Questo si chiama, in parole semplici, destabilizzazione.  In tanti, dopo le anzidette dichiarazioni allucinanti del leader IDV, in parlamento, abbiamo pensato che la stessa ragion d’essere del suo movimento risiedesse, in modo esclusivo,  nell’accanimento giudiziario contro il Cavaliere, perché la sua stessa nascita, in quella ragion d’essere, trovava la sua giustificazione  ed il suo fondamento.  La storia di Di Pietro e Berlusconi sarebbe quella della caccia del gatto  al topo. Il gatto stesso alla fine si accorgerebbe di non poter vivere senza la sua preda, divenuta, ormai, l’unico senso del suo esistere. Dovremmo tenere nel debito conto il fatto che il movimento legalista dell’ex PM, si regge su un equivoco, che è, anche, un’anomalia, quella di un giudice che si trasforma in politico per perseguire il suo storico e perenne imputato, trasformato in avversario e nemico personale. In effetti, questa non è politica, ma il suo contrario, la negazione della politica. La stessa incoerenza del comportamento di costui, proprio in questa circostanza, ne è una conferma assai evidente. Infatti, sarà egli un buon inquisitore, ma non ha la stoffa del politico, o perchè non ha la capacità di penetrare ed interpretare il senso profondo del momento storico, assai grave, che il paese sta attraversando, o perché di questo non gliene importa proprio un bel niente.  Nel primo caso si conferma la nostra convinzione che un buon giudice non è, necessariamente, anche un buon politico, nel secondo, che il suo pseudo movimento politico è e rimane, un’anomalia obbrobriosa  nel nostro sistema democratico. Ma questa strana determinazione a rovesciare il tavolo delle trattative tra gli schieramenti a propensione legalitaria e democratica, fa affacciare alla nostra mente,  un altro, assai più  grave sospetto.  Che è quello della trasformazione di un partito già di per stesso troppo personalizzato intorno alla persona del suo fondatore, in un potenziale aspirante alla conquista del potere assoluto. In effetti, Di Pietro sogna di arrivare all’apice del potere assoluto in virtù dei suoi trascorsi meriti di giustizialista. Pertanto, oggi, non è più disposto ad aspettare  e nega il suo sostegno a chiunque non sia lui stesso. Non gli interessa che questo sua determinazione spiani la strada all’avvento di un leader già braccio destro di Berlusconi, cioè Gianni Letta. Perché egli non ha una vocazione politica che lo spinga verso una finalità superiore che sarebbe quella del bene della comunità, impersonata nell’interesse generale dello Stato. La sua insensibilità al dramma in cui la nazione sta precipitando, trova in questo modo una semplicissima spiegazione.  La sua ambizione personale, lo spinge a sfruttare la sua forza elettorale per conseguire il suo traguardo di affermazione personale, pur essendo ben cosciente del fatto che i problemi del paese possono essere risolti solo da un uomo dotato di competenze economico-scientifiche superiori, che solo un professore come il senatore Mario Monti, nello scenario nazionale, può offrire e garantire.  Per questi motivi la stessa base dell’IDV è un piena rivolta contro il suo capo. Perché i suoi stessi sostenitori non sono disposti a seguirlo in questo megalomane progetto rivolto solo alla sua affermazione personale senza tenere in alcun conto il gravissimo momento che i cittadini e la nazione stanno vivendo. Se veramente gli interessassero le sorti del popolo, dovrebbe rendersi conto che il disastro economico non è la strada migliore per conseguire questo scopo. Egli mira alle elezioni anticipate perché spera di ottenere quel consenso elettorale che solo gli può conferire il potere di proporsi alla guida del paese. Non ha il minimo scrupolo nel meditare sulle conseguenze catastrofiche di questo gesto e nel favore fatto a Berlusconi ed i suoi seguaci. Il berlusconismo che pareva finito, rischia di risorgere proprio ad opera di colui che deve le sue fortune al ruolo di fustigatore dello stile di vita e metodo di governo del “suo”, è proprio il caso di dirlo,  Cavaliere!