Accanimento terapeutico: il paragone tra i casi Martini Welby ed Englaro non è arbitrario!

Di Andrea Atzori


Si sta esacerbando lo scontro mediatico sul rifiuto del cardinale Martini, all’accanimento terapeutico. Qualcuno afferma che non ci fu rifiuto, perchè la condizione di gravità estrema in cui versava il paziente,  avrebbe condotto all’esito mortale, in ogni caso, anche quando fosse stato fatto uso del sondino per l’idratazione e l’alimentazione automatica. A questa obiezione si può facilmente rispondere chiedendo il motivo per cui si sia parlato, da subito, unanimemente, da parte di tutti gli organi d’informazione, (non posso credere siano tutti in malafede), di rifiuto dell’ accanimento terapeuto. Se l’uso della macchina non era necessario, di sicuro i medici non lo avrebbero proposto e se non lo avessero proposto non si sarebbe potuto parlare di rifiuto al trattamento. Anche l’altra contestazione, secondo cui, il caso del cardinale non può essere paragonato a quello di Welby ed Englaro, perchè, mentre il primo ha  espresso la volontà di non essere attaccato alla macchina, gli altri non lo avrebbero fatto, è di una inconsistenza assoluta. Queste affermazioni, si ritorcono contro chi le fa, in quanto  possono essere usate, facilmente, come prova della vacuità degli argomenti usati per condannare il distacco degli attrezzi della tortura, impropriamente chiamato accanimento terapeutico, quando a farne le spese siano esseri non abbastanza potenti da uscirne liberi e franchi. Infatti, l’art. 32 della costituzione, non dice che la rinuncia all’uso del trattamento debba per forza essere precedente. Potrebbe anche essere successivo. Per quale motivo se il trattamento terapeutico è già iniziato, non potrebbe più essere, in seguito, sospeso, per revoca dell’autorizzazione da parte del paziente? Non esiste alcun principio morale e tanto meno giuridico, che possa far credere alla sussistenza di una ipotesi di omicidio, se al paziente viene staccata la spina dietro sua espressa ed esplicita richiesta. In definitiva si tratterebbe sempre di persona che sarebbe stata già morta, nel caso in cui avesse rifiutato l’attacco alla macchina della tortura fin dall’inizio.Tutta la diatriba sulla vicenda di Piergiorgio Welby, si riduceva a queste semplici considerazioni. Tanto semplici da far temere l’esistenza e l’interferenza di menti sadiche! Prendiamo il caso del minore o dell’incapace di intendere e di volere. Chi ha il potere di manifestare la volontà contraria, il rappresentante legale, il genitore esercente la patria potestà? Eluana Englaro, arrivò all’ospedale in coma e ci rimase per 17 anni. La  sua situazione fu di molto più grave di quella, sia del cardinale che di Welby. Era non senziente, cioè incapace di percepire sensazioni sia dal mondo esterno che da dentro di Lei stessa, cioè interne alla sua psiche. Era in uno stato puramente vegetativo. Chi se non il padre poteva avere pietà di Lei? Quello che stupisce e meraviglia di più, in questa vicenda, è, non l’avere creato paragoni c.d. arbitrari, ma proprio il contrario, l’avere voluto rivendicare il diritto di trattare in modo diverso casi palesemente identici. Perchè ricorrere a tutte queste sottigliezze, solo per giustificare una condanna a trattamenti  inumani, che servono solo a torturare poveri esseri, dal momento in cui proprio i gerarchi della chiesa, ogni volta in cui l’uso della macchina viene proposto dallo staff medico, perchè, come detto, diversamente, non avrebbe senso parlare di rifiuto, non lo accettano? Inoltre, se un vero e proprio impedimento morale non esiste, in quanto non lo riconoscono per se stessi, perchè insistere, caparbiamente, in questa volontà imperterrita, di costringere il paziente a sopportare uno stato di sofferenza inumano? Insomma, che diritto ha la chiesa di interferire in questioni di esclusiva pertinenza statale, se i clericali sono i primi a ripudiare questi sistemi quando dovrebbero essere usati sulla loro pelle? L’art.32 della costituzione recita: “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Il problema non è tutto nella prima parte dell’articolo in cui si richiede il consenso dell’interessato per l’uso di un trattamento sanitario, a meno chè esista una legge in proposito che lo impone. Il senso della diatriba si concentra nel secondo requisito richiesto, che sono i limiti imposti dal rispetto della persona umana. A mio modesto parere, si potrebbe discutere, se anche con legge, si potesse imporre il mantenimento di uno stato di sopravvivenza solo di tipo vegetativo, in quanto contrastante con il requisito del rispetto della persona umana. Perchè se questo requisito non viene violato in questo caso, quando mai lo sarebbe? Questa è un caso conclamato di accanimento terapeutico che rasenta la tortura, a carico di un organismo al quale si sta spremendo fino all’ultima goccia di sofferenza. Questo è semplicemnete inumano! Nessuno sta obiettando sulla legittimità della scelta del prelato. Si sta solo rimarcando l’assurdità di una concezione morale, prima che giuridica,  che vorrebbe far apparire come omicidio il distacco del sondino dal corpo di un paziente che dichiara pubblicamente di rifiutarlo. Anche nel caso che, in vece sua, la richiesta sia fatta da un legale rappresentante.