Le dimissioni di papa Benedetto XVI° non sono dovute a motivi di salute.

 

Di Andrea Atzori 

   

L’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzingher, ha colto di sorpresa il mondo intero. Nonostante un cielo assai fosco si fosse già addensato sui sacri palazzi pontifici, già da parecchio tempo, a seguito dei reportage giornalistici e pubblicazioni editoriali che, come per un incantesimo ormai rotto, riuscirono a forare l’impenetrabile coltre plumbea di omertà che aleggia sovrana sulle dimore vaticane, la notizia dell’uscita di scena anticipata del Papa tedesco ha prodotto una fortissima scossa, non solo tra gli organi d’informazione ma anche nella società civile e nella coscienza di ogni uomo. Nel corso dei pochi giorni che ci separano dalla dichiarazione ufficiale pronunciata pubblicamente dallo stesso pontefice, si sono versati fiumi di inchiostro per tentare di fornire una spiegazione plausibile e razionale a questa decisione irrevocabile che ci pone di fronte ad un fatto inedito che nel corso dei millenni di storia della cristianità si è ripetuto così poche volte da poterle contare sulle dita delle nostre mani. Era più di sei secoli che un evento simile non si ripeteva. Secondo le parole del supremo capo della Chiesa cattolica, la sua rinuncia sarebbe da attribuire a motivi di salute ed alla stanchezza dovuta all’età troppo avanzata. Partendo dalla considerazione proprio della durata a vita del potere sovrano pontificio, che ha consentito a quasi tutti i detentori dello scettro di San Pietro, di tenerselo stretto fino alla fine dei loro ultimi giorni, anche in estrema vecchiaia o dopo lunga degenza dovuta a malattie irreversibili e degeneranti, a nessuno sono sembrate convincenti le ragioni di salute addotte dal pontefice per giustificare la sua  decisione di abbandonare anzitempo il suo supremo incarico. Inoltre, sappiamo che tutti i papi rinunciatari hanno sempre fatto uso di una stessa formula appositamente predisposta, per giustificare il loro gesto, in base alla quale la rinuncia è sempre stata addebitata ad ostativi motivi di salute. Si impone, quindi, la necessità e l’urgenza di trovare altri più plausibili e gravi motivi capaci di spiegare l’avverarsi di un tal simile, gravissimo, evento. Non è la prima volta nella sua storia, che la Chiesa ha attraversato situazioni di profondissima crisi determinata, quasi sempre, dalla propensione dei clericali a dimenticare i principi fondamentali del loro vangelo, per abbracciare, con fervido entusiasmo, le opposte ragioni della mondanità. Il potere spirituale è tanto grande, quasi sconfinato, da essere anche , per chi lo esercita, motivo di estrema pericolosità, per la tentazione in esso insita, di essere usato per appropriarsi anche di quello temporale. Il degrado morale in cui precipitò la Chiesa di Roma nel XVI° secolo, fu la causa che provocò lo scisma e la conseguente riforma luterana. La predisposizione dei clericali ad indulgere verso il piacere dei propri sensi, in contrasto con gli insegnamenti del loro credo, li ha sempre contraddistinti per essere particolarmente versati in affari di natura puramente venale e per la soddisfazione di interessi materiali e personali.  Gli intrecci tra lotte per il potere temporale e finanziario, dentro ai palazzi vaticani, sono venuti alla luce per l’opera indefessa e coraggiosa di giornalisti assai preparati e liberi da ogni forma di timore reverenziale. Anche questo è segno dell’evoluzione dei tempi. Si è venuti, così,  a sapere dell’esistenza di bande organizzate di Cardinali schierate l’una contro l’altra, esclusivamente, per la conquista del potere ed il controllo delle fonti di ricchezza di cui il Vaticano abbonda. Lotte costruite su ricatti anche di ordine sessuale. Gli organi informativi hanno scritto dell’esistenza di lobby gay, costituite e mirate direttamente alla conquista dei gangli del potere vaticano, in particolare il controllo dello IOR, la banca Vaticana, la cui nascita risale al 1929, quando si presentò l’esigenza di far confluire in un apposito istituto finanziario le ingentissime somme che il regime di Mussolini destinava al vaticano come premio per l’adesione ai patti lateranensi. Parte di questi fondi finanziari sono stati versati anche in una banca inglese. E’ cronaca recente la rivelazione, a questo riguardo, fatta dal governo inglese. Lo sforzo clericale di reintrodurre nel nostro paese un regime di estrema destra, autoritario, reazionario e dittatoriale, non è, pertanto,  senza una vera e chiara spiegazione! In tempi di crisi però, come questi che stiamo vivendo, le operazioni finanziarie spregiudicate poste in essere all’interno dello IOR, non sono passate inosservate alle autorità statali italiane. Sia attraverso la Banca d’Italia, sia con inchieste della magistratura italiana sfociate in provvedimenti giudiziari, come, ad esempio, il blocco dei bancomat della Città del Vaticano,  esse hanno provato a fare luce sulle zone d’ombra di una gestione finanziaria su cui i sospetti sono molto gravi, arrivando, addirittura ad ipotizzare operazioni illecite di riciclaggio di soldi sporchi provenienti dalle organizzazioni criminali e dal terrorismo internazionale. Anche lo IOR, insomma, avrebbe il suo paradiso, anche se solo di natura fiscale. La partita più grossa si gioca a livello politico, con il sostegno inveterato alle forze politiche italiane di ispirazione clericale. La lotta per la conquista del potere politico dello Stato italiano, da parte della Chiesa cattolica è un fatto inequivocabile ed incontestabile. L’intervento diretto nell’agone politico,, in prima persona, dei pontefici e dei cardinali è un attacco alla sovranità nazionale, nonchè in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, in quanto si traduce in una limitazione dei diritti delle minoranze religiose e degli atei. Oggi però, dopo la corruzione inarrestabile ed imperversante, seminata come zizzania dentro agli apparati politici ed istituzionali dello Stato italiano, lo scontro dentro alla stessa istituzione religiosa e tra le forze politiche italiane si sta arroventando. Le parole di Benedetto XVI° successive alla sua dichiarazione di rinuncia potrebbero essere rivelatrici per dedurne che le sue dimissioni, come si sospetta, non siano da addebitare a semplici motivi di età o di salute. Egli, all’Angelus di domenica scorsa, in piazza San Pietro, ha affermato che Dio non può essere usato per la conquista del potere politico,  che il desiderio smodato di potere e ricchezze ha creato crepe e divisioni tra i cardinali e che la Chiesa ha bisogno di un nuovo pontefice che sia serio e giovane, fisicamente in grado di affrontare il forte impegno necessario per risolvere i tanti problemi in cui la Chiesa si dibatte quotidianamente. Insomma ha ammesso, neppure tanto velatamente, l’esistenza di una lotta intestina dentro alle istituzioni clericali per la conquista del potere non solo spirituale ma, in modo particolare, temporale. Se però, come fanno in tanti, si volesse far credere che questo papa non sia forte e preparato, in grado di affrontare una tale battaglia, oppure, che anche lui non vi sia dentro fino al collo, non sono assolutamente d’accordo. Mi viene spontaneo il paragone con un altro Papa dimissionario, Celestino V. La differenze tra queste due figure di pontefici è estrema. Essi sono l’uno agli antipodi dell’altro. La storia ci dice che Pietro Angelerio detto Pietro del Morrone, nato tra il 1209 ed il 1215, fosse un monaco eremita, considerato autorità in campo morale, ma di poca cultura. Venne chiamato al soglio di Pietro solo perché, dopo la morte di Nicolò IV, avvenuta nel 1292, il conclave che si riunì per l’elezione del nuovo papa, composto da dodici cardinali, dopo due anni, dilaniato e dibattuto da contrasti indissolubili per la conquista del trono, non aveva ancora raggiunto un accordo. Venne scelto Lui e fatto salire al trono con il nome di Celestino V, solo perché tutti i cardinali pensarono che, essendo egli un uomo inadatto al quel ruolo importante a causa della sua scarsa cultura, avrebbe finito per farsi influenzare da ciascuno di loro. Non fu però così, per cui delusi, fecero di tutto per allontanarlo, costringendolo a dimettersi. Papa Ratzingher è il suo esatto contrario. Uomo di grande cultura è salito al potere proprio perché stimato e considerato impeccabilmente adatto a quel ruolo di suprema guida della Chiesa. Credere che non avesse mai saputo delle trame ordite dentro alle sale del suo palazzo pontificio, non è assolutamente condivisibile. Egli stesso ha chiamato al suo fianco colui che risulta essere considerato il mandante degli attacchi spregiudicati e senza scrupoli, alle opposte fazioni in cui sono organizzati i cardinali, nonché degli intrighi segreti e striscianti, degni delle peggiori corti reali di cui la storia ci tramandi la memoria, il segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. Colui che maggiormente teorizza ed avvalla la tesi del diritto dello Stato del Vaticano ad intromettersi negli affari interni dello Stato italiano. Il dramma del papa tedesco non è da addebitare al fatto di essersi egli accorto solo oggi dell’esistenza di queste organizzazioni occulte, dentro ai palazzi pontifici, preordinate alla  lotta per il potere. Sappiamo per certo, in quanto la storia ce lo insegna, che gli intrighi di palazzo ci sono sempre stati in Vaticano e dentro a tutta l’istituzione ecclesiastica, fin dal suo sorgere, essendo essi la loro stessa ragione di vita. L’esempio di papa Celestino V, serve a darne una chiara conferma. La verità è che Benedetto XVI non ha saputo e potuto evitare la vera disgrazia che si è abbattuta su di Lui, cioè la tragedia dello scoppio di uno scandalo pubblico devastante, ad opera di giornalisti assai agguerriti e determinati, di cui la nostra nazione abbonda e di cui è, anche, molto fiera ed  orgogliosa. Il Vaticano è retto da una monarchia assoluta ed il Papato è uno dei pochi esempi al mondo di sopravvivenza di un regno il cui sovrano abbia concentrati nelle sue mani tutti i poteri di governo, senza dividerli con altri,  in quanto non esistono altri organi di natura costituzionale e men che mai democratici. Infatti, questo piccolo Stato è l’unico, tra le monarchie europee, che non ha recepito i portati della rivoluzione francese, cioè non è diventato una monarchia costituzionale, rispettosa del principio della divisione dei poteri. Pensare che questo pontefice non avesse gli strumenti, non solo per conoscere la realtà della situazione in cui il suo regno si dibatteva, ma anche quelli per risolvere i problemi riscontrati, è, semplicemente, assurdo. Anche tenendo conto del fatto che non si trattava di uno sprovveduto, ma di una delle menti più raffinate che la Chiesa abbia mai saputo esprimere.  Ciò che ha  provocato il terremoto che ha attraversato e sconvolto il piccolo Stato e sotto le cui macerie il pontefice è rimasto sepolto,  è stato lo scandalo Vatileaks, che ha rivelato al mondo la miseria umana nella quale sono immerse e nuotano a piacimento le gerarchie vaticane. Senza questo incidente di percorso, il pontificato di Benedetto XVI° non si sarebbe certo compiaciuto di rompere quel silenzio durato sei secoli, con la voce rotta  del nuncius apostolico, che, nel rispetto della formula millenaria, annunciava il “gran rifiuto” di dantesca memoria, formalmente solo per motivi di salute dovuti all’età troppo avanzata del divino nocchiero.