L’esercito cinese viene schierato in Siria. Una risposta chiara alla bellicosità di Trump e Netanyahu.

 

Di Andrea Atzori

Non è un mistero che la Cina sia sempre stata schierata a fianco della Siria nella lunga guerra che l’ha vista contrapposta alla coalizione militare forse più ampia della storia umana, quella tra paesi Nato, Israele e schieramenti di stati arabi tra cui potenze del calibro di Arabia Saudita e Turchia, nonchè lo Stato Islamico c.d. Daesh.

Non solo all’interno dell’organizzazione delle Nazioni Unite, ma anche attraverso l’invio di alti esponenti dei vertici militari e politici presso le sedi istituzionali del governo di Damasco, per discutere dell’andamento del conflitto e promettere sostegno economico e militare, come l’invio di consiglieri militari e istruttori per l’esercito di Assad anche prima dell’intervento militare russo sul campo di battaglia.

Anzi, una discesa diretta nel conflitto siriano da parte dell’esercito cinese era già stata programmata, tanto che la flotta cinese era stata ancorata davanti alle coste siriane e alti ufficiali cominciavano a verificare il posizionamento delle truppe, direttamente sul posto. Obama però, escogitò la strategia di tenere la flotta cinese sotto pressione sul Mar Cinese Meridionale, per evitare un suo coinvolgimento nella guerra in Siria.

Inoltre, l’andamento positivo delle operazioni militari condotte dalla coalizione siro iraniana favorita dai raid aerei russi, rendevano ormai del tutto superflua la presenza anche dell’apparato militare cinese, per cui, finora, la Cina è rimasta fuori dal teatro geostrategico mediorientale, nonostante ben consapevole della sua estrema importanza ed interconnessione, anche per tutte le altre altrettanto, gravi problematiche che interessano, direttamente, la stessa  sua zona di pertinenza. Infatti, nel mondo moderno, non si può mai dire che esistano aree di crisi isolate, prive del potere di  esplicare alcuna, anche minima, interferenza in ogni altro angolo del pianeta.

Oggi che la Russia ha quasi completato la sua missione di spazzare via lo Stato islamico dallo spazio territoriale sovrano della Siria, ed intende proseguire i suoi sforzi nelle sedi diplomatiche deputate a condurre le trattative tra le varie fazioni interessate per risolvere in bene, definitivamente, il destino futuro di questa martoriata nazione e del suo legittimo presidente Bashar Al Assad, ritirando parte delle sue truppe ma lasciando integre le installazioni militari, è arrivato il momento della Cina, chiamata anch’essa a fornire il suo prezioso contributo per la sconfitta finale del gravissimo fenomeno terroristico che ha insanguinato non solo il territorio siriano ma pure tante altre nazioni che credevano di esserne immuni.

Ed infatti, la Cina si è resa conto che anche dentro ai suoi confini territoriali, nello Xinjiang, regione a lungo interessata da forti pulsioni secessioniste, esiste una minoranza di etnia turcofona chiamata Uiguri, di religione musulmana,  accusata di avere collusioni con il terrorismo islamico, tanto che una nutrita schiera di terroristi impegnati nel conflitto siriano, sono appunto di etnia uigura.  Si è in effetti, verificato anche ai danni della Cina, ciò che già aveva subito  la Russia a causa della confluenza nell’ISIS dei gruppi di terroristi ceceni.

Fu questo uno dei fattori che contribuirono ad indurre il Cremlino ad intervennire in Siria, per il timore che nutriti gruppi di questi elementi istruiti all’arte della guerra nei campi di addestramento militare dell’ISIS, in cui ad operare sono anche stati tantissimi agenti della CIA, rientrassero nei loro paesi di origine, portando con se uno strascico infinito di sangue e morte.  Prospettando la stessa identica situazione al governo cinese, Bashar Al Assad ha ottenuto che anche Pechino prendesse in seria considerazione questa opportunità di inviare le sue truppe scelte ad arginare ed infine debellare per sempre questo fenomeno letale per l’intera umanità.

Alla Cina interessa molto anche lo scenario post conflitto in Siria per le opportunità economiche offerte dalle opere necessarie per la ricostruzione di metropoli, città e villaggi, nonchè infrastrutture, a cui aspirano di partecipare anche quelle stesse nazioni, specie occidentali, che tutte hanno contribuito a distruggerle, bombardando con raid aerei e armando e finanziando gli Jahidisti. Ma il presidente siriano ha già deciso di consentire la partecipazione a questo grande cantiere che si aprirà per la ricostruzione solo alle imprese russe, cinesi e iraniane.

Questo nuovo evento del parziale ritiro russo e del nuovo avvento della Cina in Siria sarà assai importante anche sotto un altro aspetto che oggi lascia ancora e sempre Damasco con il fianco scoperto ai raid aerei israeliani. Anche per questo motivo Assad ha ben deciso di rivolgersi a Pechino, essendo stata finora Mosca del tutto passiva. Israele, anche adesso che il Daesh è in rotta senza alcuna speranza di ripresa, insiste nel bersagliare le basi militari siriane ed iraniane con i suoi caccia e missili a corto raggio, causando una quantità enorme di danni materiali e di vittime.

Netanyahu, il premier israeliano, non accetta che l’Iran installi basi militari permanenti in Siria e promette battaglia senza tregua. A queste minacce trasformatesi anche in atti di guerra assai gravi, la Russia è rimasta tuttora inerte, anche dopo che questi raid aerei di Tel Aviv si sono fatti sempre più numerosi e frequenti. Il sospetto è quello per cui si stia tentando, a livello di accordo tra i membri della coalizione anti Assad, di trasformare una guerra finora combattuta per procura, da fazioni di movimenti del terrorismo internazionale, in intervento diretto dei mandatari di quella guerra, in cui finora essi si sono mantenuti nascosti dietro le quinte, respingendo sempre le accuse di essere loro i veri mandanti dei tagliagole islamici.

In particolare, è molto preoccupante il fatto che Trump abbia revocato l’accordo sul nucleare iraniano proprio adesso, accusando proprio Teheran di avere infranto i piani di Washington sullo Stato siriano. Le minacce della Casa Bianca contro l’Iran sono di una incontestabile ferocia. I movimenti già innescati tra Arabia Saudita e Israele sul Libano, con le dimissioni poi ritirate del suo Capo di governo Hariri, che si sospetta imposte da Riad, sono di incontestabile chiarezza, in quanto depongono per una manovra mirata a scatenare una rivoluzione nel paese dei cedri, in cui il movimento armato di Hezbollah, è sempre stato una spina nel fianco di Israele.

Le pressioni su Putin da parte dei partner occidentali, sono proprio dirette a convincerlo a isolare Iran e Libano, lasciandoli alla mercè di Usa, Israele ed Arabia Saudita, per via dei noti contrasti tra Sciiti e Sunniti; Iran e Hezbollah che, dopo una vittoria lampante sul terreno di battaglia, si vedrebbero abbandonati alla mercè di un nemico pronto alla più terribile delle vendette. I vertici russi, non hanno mai espresso dichiarazioni che facciano ritenere ciò possibile, ma per intanto lasciano sempre Netanyahu libero di colpire tutti gli obiettivi strategici da lui selezionati in territorio siriano, violandone la sovranità territoriale nazionale. Atti contro cui la comunità internazionale è ben lungi dall’emettere una condanna chiara e decisa. Lasciando intendere che interpretino sempre e solo a senso unico i principi e le leggi del diritto internazionale.

La debolezza dei russi nei confronti degli ebrei sarà in parte dovuta ai noti eventi della seconda guerra mondiale, ma di sicuro anche all’influenza che gli apparati religiosi di estrazione cristiana esercitano su quelli politici. Questa guerra viene anche concepita come conflitto religioso tra popoli di radici cristiane ed infedeli musulmani. La riottosità di Mosca ad affrontare con la dovuta fermezza la bellicosità di Natanyahu, è di sicuro dovuta anche a questo non trascurabile fattore. La discesa in campo della Cina avrebbe, da questo punto di vista, l’effetto positivo di rendere ininfluente questa negativa predisposizione dei vertici russi ad essere troppo clementi con Israele.

Parrebbe, comunque, che tutto sia già stato previsto e predisposto dagli alti vertici delle superpotenze asiatiche, proprio in previsione della piega che gli eventi internazionali, stanno assumendo in medio ed estremo oriente. Chi pensava che la guerra tra superpotenze potesse iniziare in Europa, in Siria o in Corea del Nord, forse non ha messo in conto la possibilità che invece lo scontro mondiale inizi, contemporaneamente, su tutti e tre questi fronti, ormai ben arroventati al punto giusto per farli detonare come una miccia fa esplodere un ordigno. L’intervento della Cina, in caso di bisogno non si farà attendere neppure nel Donbass, considerato che di giorno in giorno, la situazione si sta facendo sempre più critica anche in questo fronte di guerra, forse il più delicato.