Il caso Battisti e la ragion di Stato.

 di Andrea Atzori



Ho riflettuto a lungo nel seguire l’evoluzione delle vicende legate al destino del sanguinario esponente dell’estremismo di sinistra anche perché, per cautela, prima di fornire un’interpretazione personale di certi importanti avvenimenti, preferisco attendere riscontri significativi. Non nego che fin dall’inizio ho avuto le mie personali convinzioni sul terrorismo che ha infiammato la vita politica nazionale per buona parte della seconda metà del secolo XX°.

Infatti non sono mai riuscito a convincermi di come un movimento rivoluzionario di sinistra di marca ed ispirazione operaia abbia potuto spingere, con i suoi cruenti attentati e ferocissimi assassinii, l’ago della bilancia del sistema politico, sempre più verso l’estrema destra e dopo si sia assopito come per incanto. La versione ufficiale è stata quella della sconfitta militare del braccio armato dei movimenti proletari. Ma, anche coloro che non sono degli storici di professione, sanno bene che un vero ed autentico movimento rivoluzionario, armato e feroce come questo di cui si discute, non demorde tanto repentinamente, proprio mentre la reazione del sistema si fa più dura. Anche perché sono queste le fasi cruciali che tutti i movimenti sovversivi devono affrontare inevitabilmente e che sono il sintomo che la lotta armata sta producendo i suoi frutti.  I veri rivoluzionari hanno dato la vita per le loro ideologie, tributi di sangue immensi; non si sarebbero spaventati per qualche dozzina di arrestati! 
In pratica queste manifestazioni di intolleranza al sistema si sono espresse proprio quando nel sistema politico italiano le sinistre parlamentari stavano ricavando un loro  spazio operativo ed un riconoscimento come forze di governo. Ciò che non mi ha mai convinto è questa recrudescenza della violenza politica proprio nei momenti in cui il partito comunista si stava sempre più inserendo nella dialettica politica delle democrazie occidentali. Fino all’estremo epilogo del rapimento ed assassinio  del Presidente Moro, proprio perché intendeva procedere all’inserimento dei comunisti dentro agli apparati del potere con il c.d. compromesso storico. Ma sarebbe logico credere che un movimento rivoluzionario manifesti la sua più violenta reazione contro il sistema quando, ormai, questo si sta aprendo, ed anzi proprio perché è in corso un’evoluzione storica che vede il maggior partito della sinistra radicale operaia  divenire componente delle forze governative nazionali? E’ da folli solo il pensarlo! Eppure questa è stata la motivazione ufficiale che gli storici di quel nebbioso periodo della nostra storia, hanno dato al fenomeno.  Più che l’errore  credo, personalmente che abbia giocato un suo ruolo fondamentale la mala fede!  Perché non è credibile che dei veri idealisti rivoluzionari accendano la loro fiamma eversiva proprio quando la società dimostra segni inequivocabili di flessione verso queste ideologie e poi si affloscino e scompaiano quando invece la reazione dell’estremo opposto giunge al suo culmine definitivo.
E’ troppo evidente che quei fatti di sangue erano solo mirati ad ostacolare il cammino pacifico verso la democrazia e giustificare una svolta estremista di segno contrario. Per questo non ho mai creduto nella leggenda metropolitana delle Brigate Rosse come estremismo di sinistra.  Credo, invece, che la loro funzione sia stata quella di impedire un normale approccio democratico e moderno all’evoluzione che i tempi stavano preparando alla storia nazionale, per consentire un recupero delle antistoriche ed antidemocratiche pretese di forze sociali, economiche e politiche reazionarie della destra estrema. 
Forse non è neppure il caso ricordare quanto di tutte queste mie convinzioni sia stato condiviso dalle stesse indagini condotte dalla magistratura su questi episodi efferati che hanno contrassegnato i così detti anni di piombo. Che le Brigate Rosse fossero solo uno strumento in mani di organizzazioni straniere che tendevano a destabilizzare la nostra Nazione se ne discusse a lungo e per molto tempo le ombre continueranno ad espandersi, inquietanti,  su quelle vicende terribili.  Ma credo anche che proprio la direzione definitiva verso cui il nostro mondo sta viaggiando sia la prova certa del fondamento dei dubbi che su quel periodo storico si sono sempre addensati.
Sappiamo bene quanto sulla sorte di Aldo Moro abbia inciso l’esito della lotta che si stava scatenando all’intermo del partito clericale, la Democrazia cristiana. Non solo, ma conosciamo gli attriti molto acuti che la politica di quel leader aveva prodotto con gli U.S.A.  Sul fatto che le B.R. fossero uno strumento in mano a potenze straniere che intendevano destabilizzare l’Italia e sull’assai sospettosa ospitalità che la Francia ha sempre garantito agli esponenti di spicco di questo movimento terrorista ne hanno discusso a lungo  sia la stampa sia la magistratura. Di complotto straniero si parlò anche in occasione dell’abbattimento del DC9 a Ustica. E guarda caso era sempre la Francia, in via principale, ad essere chiamata in causa. Il giudice Rosario Priore che conduceva le indagini su quel massacro, ha dichiarato di recente alla stampa che l’Italia era in guerra senza saperlo e che a suo tempo aveva evitato di dire la verità per scongiurare il peggio!
Per riannodare il discorso alla vicenda dell’estradizione del terrorista sanguinario Battisti, se abbiamo il coraggio di analizzare da questa ottica suggerita  la notizia di cronaca del diniego del Brasile alla richiesta dell’Italia, direi che, forse, si riesce a capirne molto meglio il senso. Il Brasile, infatti, sa bene che la questione non è solo di pura discrezionalità politica. Sa che la copertura di un ferocissimo criminale, inquadrato dentro ad una organizzazione di impronta eversiva  e con finalità destabilizzanti, che ha prodotto una distorsione fondamentale nel progetto storico politico della nostra nazione non è un affare solo di giustizia. Sa che è un affare politico che va interpretato come una manifestazione di ostilità verso il nostro Stato, la nostra Nazione, il nostro Paese. Che il governo in carica non sia il più indicato per portare avanti le istanze che stanno alla base della dignità e della sicurezza dell’Italia è assai evidente. Perché esso, infatti è il frutto, una delle conseguenze della deviazione subita dal sistema politico in conseguenza di quei fatti di sangue, in primis l’omicidio del Presidente Moro. La destra estrema non sarebbe salita al potere se Aldo Moro fosse rimasto vivo! Una parte della stampa nazionale ha accusato il premier di non avere posto in atto alcuna forma di pressione sul Presidente brasiliano Lula al fine di ottenere l’estradizione del pluriomicida. Nelle due occasioni in cui egli avrebbe potuto porre sul tavolo la questione, ha preferito tacere per non ostacolare gli accordi in materia economica che gli stavano molto più a cuore, cioè le commesse  economiche per la nostra imprenditoria, allettata dalle immense potenzialità che sta esprimendo questa nazione anche in tempi di crisi economica mondiale. Pare che il ministro degli esteri Frattini, abbia  tentato di aprire il dialogo sul tema dell’estradizione ma sia stato immediatamente messo a tacere dal nugolo di industriali che accompagnavano il premier solo per i propri interessi personali e non per quelli superiori della nazione. Allora è d’obbligo una domanda, che attiene ad un problema molto importante e vasto, che ho trattato in altri articoli e che avrebbe bisogno, per essere sviscerato di un’intero trattato. La questione è quella dell’attitudine di un manager capitalista a guidare una Nazione.
Si è sempre detto che un industriale di successo come Berlusconi avrebbe risolto i guai economici dell’Italia. Perché avendo avuto tanto successo con le sue aziende di sicuro avrebbe saputo amministrare bene anche lo Stato. Si è accusato il politico di professione di essere la causa del debito pubblico astronomico, quando ancora quel debito non aveva raggiunto livelli spaventosi e da capogiro come quelli attuali, dopo un quasi ventennio berlusconiano. Si è voluto far credere che uno Stato potesse essere amministrato come un’azienda. Che il bene per la nazione fosse il soddisfare prima di tutto l’imprenditoria. Ebbene, sappiate che le conseguenze di queste opinioni che non sono politiche, perché sono anzi la negazione della politica, sono queste che si stanno sperimentando, cioè  un’ Italia senza voce in capitolo nei rapporti internazionali, che non si cura degli interessi superiori della nazione, ma solo di quelli patrimoniali degli impreditori con mille nazionalità, tra cui quella italiana può anche non risultare, perché sarebbe solo un optional. Questa è la prova che pubblico e privato non sono la stessa cosa, anzi sono la negazione reciproca, stanno assieme come i cavoli a merenda!.  Chi credeva, forse anche in buona fede, che con la guida di un imprenditore ricco e potente, l’Italia sarebbe stata più forte e rispettata, ha motivo per ricredersi.
Qualcuno ha scritto che Berlusconi avrebbe agito per  ragion di Stato. Cioè avrebbe taciuto sul fatto dell’estradizione con il presidente Lula, per condurre in porto l’affare lucroso per gli industriali. Ma sarebbe  questa dell’arricchimento personale del capitalista industriale plurimiliardario, un interesse di Stato superiore a quello della stessa sopravvivenza della Nazione? Una nazione  che non riesce a garantire la propria sicurezza, tramite l’affidamento alle proprie carceri di un pericolosissimo  e spietato terrorista? Avrebbe mai avuto l’Italia il coraggio di formulare un tale rifiuto  agli USA? Non è questo indizio di estrema debolezza della Nazione, espressa proprio ad opera di colui che è stato sempre additato dall’apparato clericale come l’unto del signore, il designato a renderLa potente, sicura ed affidabile? Questa, infatti, non è ragion di Stato, ma il suo opposto! Perché la ragion di Stato esige per essere tale, che l’interesse dello Stato prevalga su ogni altro, non viceversa!   La ragion di Stato è quella che giustifica l’uso della menzogna e della truffa pur di conseguire un bene superiore per la nazione.  Perchè, il conseguimento della finalità di interesse superiore, cioè il bene dello Stato, giustifica i mezzi. Da qui deriva il detto per cui il fine giustifica i mezzi. Nella visione che il Machiavelli aveva del fenomeno politico, appariva poco riprovevole l’uso di mezzi non moralmente leciti, se l’intenzione era rivolta a realizzare  obiettivi considerati utili per lo Stato.  Ma definire ragion di Stato il comportamento di Berlusconi che sacrifica l’interesse nazionale all’estradizione del terrorista pur di strappare al Brasile vantaggiosi contratti di collaborazione economica destinati ad esplicare effetti lucrosi  a favore dell’ imprenditoria bramosa che si portava al seguito, è ribaltare i termini della questione. Perchè la questione squisitamente politica era rappresentata dalla richiesta di estradizione del pericolosissimo criminale terrorista, non dagli accordi di natura economica. Al contrario, i nostri governanti imprenditori, sono andati da Lula per  fargli sottoscrivere affari lucrosi per se stessi, non per risolvere preliminarmente, un problema di fondamentale importanza per la nostra sicurezza nazionale!  Una tale situazione di fatto configura un’ipotesi di disinteresse non solo per il diritto ma anche per la ragion di Stato, in quanto entrambe le circostante coincidono nel carattere prettamente politico della questione. Un grande statista formato professionalmente negli affari pubblici, non avrebbe frainteso i termini della questione.
 Le dinamiche sottostante alle diverse sfere di organizzazione, quella pubblica e quella privata, sono tali da renderle incompatibili. Voler ridurre il fenomeno politico alla stregua di quello privato imprenditoriale, determina uno stravolgimento dei termini fondamentali sui quali si fonda la ragion d’essere della dottrina politica e che avrebbe fatto rabbrividire il Machiavelli.  Per questo ho sempre pensato che quando un imprenditore prende in mano le redini del potere politico lo Stato  è a rischio estinzione. Questo a prescindere dal fatto che venga risolto o meno il conflitto di interessi.  Perché costui tenderà sempre, inesorabilmente, a sfruttare quel potere per i suoi interessi personali.
Al contrario una nazione come la Francia, tramite l’italianissima first lady  Carla Bruni, ha svolto opera di intercessione, a quanto pare,  sul presidente brasiliano Lula, per ottenere la liberazione del Battisti. Questo per non farci dimenticare che se non ci curiamo noi del nostro paese ci sono  e ci saranno sempre coloro che non solo hanno molto a cuore la propria patria,  ma stanno lavorando per renderci schiavi!