Italia ad un passo dal default. Berlusconi, il paese ha fondamentali solidi.






di Andrea Atzori


Tra le tante bugie raccontate agli italiani, dal loro amato premier, credo che questa sia quella più sfacciata. Il dubbio è ancora questo, se i cittadini si sentano offesi per questa palese presa in giro. Molto netto e marcato lo stridore tra le paure che serpeggiavano e si diffondevano in tutti i governi occidentali ed asiatici per il crollo delle borse provocato dal giudizio di inaffidabilità sull’economia italiana a causa della totale inadeguatezza della manovra finanziaria appena varata dal governo italiano a fronte del differenziale crescente tra il debito pubblico nazionale e la quasi inesistente crescita economica e il tono conciliante e  tranquillizzante espresso dal capo dell’esecutivo nel corso della conferenza stampa cui è stato costretto in seguito ai boati rimbalzati a Roma dagli allarmi internazionali sulla situazione economico-finanziaria italiana. Ecco, allora, emergere, chiara e lampante, l’inadeguatezza di questo esecutivo ad affrontare e risolvere la contingenza, gravissima e cruciale, in cui si è impantanato il paese.  Il problema fondamentale ed innegabile è che a fronte di un debito pubblico stratosferico, si parla di 1900 miliardi di euro, l’economia italiana non cresce. In pratica abbiamo un passivo troppo alto ed un attivo troppo basso. Più un debito pubblico è elevato, più richiede, per essere sostenibile, che la ricchezza di quel paese cresca proporzionalmente. Infatti, uno Stato è come un’impresa, potrà fronteggiare i suoi ingenti debiti solo ed a patto che aumentino, proporzionalmente, le sue entrate. Se queste condizioni non si avverano, come conseguenza, i creditori possono far dichiarare, dall’autorità competente,  lo stato di insolvenza del debitore, cioè il suo fallimento. Quello che sta accadendo all’Italia è proprio questa situazione di perdita di fiducia da parte degli istituti finanziari internazionali che giudicano lo Stato non più in grado di gestire i suoi obblighi nei confronti dei creditori a causa, oltre che del debito esorbitante, anche della troppo bassa ripresa economica successiva alla crisi economica mondiale. Altro fattore di pessimismo internazionale nei confronti dell’Italia è l’incapacità, ormai certificata, del suo governo ad intraprendere una seria politica economica, credibile, orientata verso la ripresa dell’efficienza produttiva del sistema paese. L’impossibilità di varare una serie di riforme che siano tali da eliminare le perdite e gli sprechi nei settori parassitari ed improduttivi sia nel pubblico che nel privato. Perché, per essere chiari, quando si pretende che lo Stato ridimensioni se stesso a vantaggio dell’imprenditoria privata, addirittura chiedendo che, attraverso i risparmi di spesa pubblica, ottenuti con questa operazione, vengano sostenute finanziariamente, le imprese perdenti nel libero mercato, allora sorge un problema grande quanto una casa. Perché, se un fiume di soldi usciti dalle tasche dei contribuenti viene riversato nell’economia privata, cioè nelle tasche di privati, allora si dovrà pure accertare e verificare seriamente, quale sia l’utilizzo che di questi fondi viene fatto dalle imprese benficiarie. Finora, abbiamo sperimentato che a fronte dei tanti tagli e risparmi  sulla spesa pubblica, pensioni, stipendi, privatizzazioni, cioè vendita di patrimonio pubblico, andati a vantaggio di imprese e banche, la produttività e l’occupazione non solo non sono aumentate, ma addirittura sono  diminuite. Allora, esiste veramente un problema. Teniamo conto del fatto che L’Italia è il paese retto dal governo più liberista tra quelli occidentali. L’attacco allo Stato ed ai servizi pubblici è stato fenomenale. Il sostegno alle imprese è diventato la bibbia della politica economica nazionale.  Se è vero che la magistratura contabile e quella amministrativa oltre che ordinaria, conservano in se stesse la competenza inderogabile ad indagare sull’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche da parte della pubblica amministrazione, colpendo con sanzioni civili e penali i responsabili di atti perseguibili sulla base delle norme giuridiche vigenti, non riesco a capire, per quale strano motivo, se ad essere nella disponibilità delle risorse pubbliche, derivanti dal prelievo fiscale operato sui redditi dichiarati dai cittadini virtuosi, siano, non lo Stato, in quanto dichiarato economicamente non solo improduttivo ma, addirittura, dannoso, ma i privati, allora questa esigenza di correttezza nell’uso dei beni pubblici, non sia più importante e necessaria. Da qui sorge, pertanto, veemente e prepotente, un dubbio atroce. Perché il privato, al contrario della pubblica amministrazione, può godere e sperperare quei capitali ottenuti in dono dalla politica ultraliberista al potere, senza che alcuna autorità possa avanzare e far valere il suo diritto-potere  di indagare e valutare l’utilizzo che il beneficiario dei soldi pubblici abbia fatto di quei fondi che gli furono concessi solo perché il settore produttivo del paese potesse subire un effetto positivo di miglioramento, non certo per pura gratificazione o spirito munifico. Quale può essere la garanzia che il privato, tra l’altro sul presupposto di un suo stato di dissesto economico, può offrire in più di quanto non riesca a fare la pubblica amministrazione. Il debito pubblico non è tutto derivante da gestione pubblica del danaro. Anzi, è proprio il contrario. Perché, fin dagli anni ottanta del secolo scorso, i governi di centrosinistra, ottennero finanziamenti stratosferici dalle organizzazioni monetarie internazionali, per consentire che il popolo italiano, fino ad allora contraddistinto da una presenza maggioritaria di una classe sociale proletaria, bacino elettorale sicuro del P.C.I., potesse ottenere facile accesso alle disponibilità economiche indispensabili per passare dalla situazione di nullatenenti a quella di proprietari. L’accesso delle masse alla casa di proprietà, all’auto non solo nuova ma potente, all’istruzione universitaria, provocò un salto di qualità nella vita individuale delle persone, ma, in particolare, l’accesso alle classi sociali più elevate, fino allo svuotamento e la scomparsa della classe sociale proletaria. La fine del P.C.I. è da attribuire a questa operazione megagalattica intrapresa dalle potenze occidentali ricche. Sul presupposto, ovviamente, che di finanziamenti, si trattava non di pura e semplice opera assistenzialista. In pratica quei soldi si dovevano rendere primo o poi. La verità è che quel fiume di danaro alimentò pure una forma assai virulenta di peste nella vita pubblica nazionale,  quella della corruzione  infinita, che non solo ha corroso come un tarlo tutte le strutture dell’apparato politico amministrativo, ma ha contribuito al formarsi di una classe dirigente trasversale agli schieramenti politici, sia di maggioranza che di opposizione, selezionata appositamente per la sua predisposizione all’attività corruttiva. Le potenze occidentali hanno ormai raggiunto il loro scopo, quello di sconfiggere il socialismo internazionale. La spinta verso l’indebolimento progressivo e definitivo della consistenza e tenuta delle strutture istituzionali dello Stato italiano, mirava proprio a renderlo succube e sottomesso alle potenze dominanti. Con in più il rischio reale e minaccioso di un partito secessionista nato proprio sull’onda lunga di quell’odio profondo e razziale verso l’Italia ed i simboli che la rappresentano, fomentato ad arte da nazioni confinanti che hanno interpretato il nuovo mondo uscito dal crollo dei regimi socialisti internazionali alla stregua di quello derivante dal congresso di Vienna del 1814, dopo la sconfitta di Napoleone e la conseguente restaurazione dei regimi assoluti in Europa. Il distacco del nord Italia, c.d. Padania e la sua annessione alle rinate potenze austroungariche costituisce un passo indietro secolare nella storia del popolo italiano, nella cui progettazione il debito pubblico nazionale doveva svolgere un ruolo determinante. Anche la lotta incessante  della magistratura contro  il fenomeno corruttivo dei pubblici apparati, ha funzionato come un espediente  per instillare nel popolo un odio inveterato verso il proprio stesso Stato. Pertanto, a conti fatti, i cittadini italiani, dopo avere sperimentato un’evoluzione sociale ed economica positiva a seguito della pioggia di miliardi caduta nelle casse pubbliche attraverso i finanziamenti esteri, si ritrova a subire una fortissima interferenza straniera nella politica nazionale con conseguente rischi di perdita dell’indipendenza nazionale. Il liberismo sfrenato è stato la causa principale della crisi economica mondiale. Gli USA, il paese più responsabile del propagarsi di queste teorie economiche superate e condannate dalla storia, sono anche quello più colpito dalla recessione economica e dal rischio default. Ciononostante si continua a prescrivere per L’Italia, ricette economiche a base di liberismo e privatizzazioni sempre più marcate. Il motivo è assai semplice. Perché questa non è la strada per la salvezza ma quella per il disastro. Se un’economia fosse veramente liberista, lo Stato non potrebbe mai interferire con il libero mercato e, pertanto, non dovrebbe mai erogare finanziamenti alle imprese in crisi. Perché questo sarebbe un modo  per influire e sovvertire gli esiti della lotta tra le imprese dentro al mercato economico. Ad emergere non sarebbe il più forte ma il più raccomandato, colui che ha ottenuto dai politici al potere, i più forti aiuti finanziari. L’intervento dello Stato nell’economia è sempre contrario al liberismo. Ma se non è statalismo e neppure liberismo, allora, cosa è questa pretesa di distogliere i soldi pubblici dalle loro finalità, per poi convogliarli in altri luoghi di cui non si sa niente, né per quanto riguarda il fortunato beneficiario, né, tanto meno, per quanto concerne l’uso che di questi beni si è fatto. Ebbene, si tratta solo di una truffa, un espediente per togliere ai poveri cittadini onesti che rispettano, nonostante tutto, sempre e puntuali i propri obblighi contributivi verso lo Stato, e premiare i pochi fortunati già ricchissimi, che le tasse neppure le pagano. Un modo per alimentare il parassitismo, non certo per debellarlo. Il debito pubblico non diminuirà mai se lo Stato devolve i risparmi nella spesa pubblica, alle imprese fallimentari. La crescita economica non sarà mai possibile se non avviene in virtù del merito e delle capacità degli stessi imprenditori. In primo luogo attraverso un coinvolgimento di tutto il territorio nazionale, favorendo l’evoluzione ed ammodernamento dell’economia meridionale, perché il futuro è degli Stati grandi, forti, uniti e solidi, non di quelli divisi ed insignificanti. Contro giganti come la Cina, la c.d. Padania è solo un nanerottolo, destinato a chiedere ed ottenere riparo oltre la barriera naturale delle Alpi. Cioè a popoli storicamente nemici e stranieri, anche etnicamente diversi. Quando il popolo del nord comincerà a capire queste cose, e già lo sta facendo,  svestirà l’abito verde e nero dello squadrismo leghista per tornare verso porti più sicuri.