Il commissariamento dell’Italia, atto incostituzionale ed inutile. Nasconde la verità del fatto che la crisi vera è solo quella del capitalismo internazionale.








Di Andrea Atzori


Il governo italiano è stato ridotto ad autorità periferica suscettibile di subire fortissime e fondamentali limitazioni al suo potere sovrano, da parte di fantomatiche autorità sovranazionali. Ma l’imposizione dall’alto non può venire da alcuna autorità legittima, semplicemente perché una tale autorità non esiste e non può esistere, fino a quando non fosse già istituita ed in essere l’Unione degli Stati Uniti Europei. Cioè una vera e propria Nazione europea. Siamo tutti ben coscienti del fatto che una entità politica del genere non esiste. Finora, certo. Ma sussistono gravissimi ostacoli anche alle probabilità future della sua esistenza. Se questa c.d. autorità sovranazionale è solo nella fantasia dei sognatori, come è possibile che sia potuto pervenire allo Stato italiano un ordine perentorio ad adottare misure di politica economica urgenti al fine di evitare il c.d. default economico? Il momento è drammatico certo, esiste un forte rischio di caduta in uno stato di indisponibilità di risorse economiche necessarie e sufficienti a garantire anche solo i minimi servizi pubblici e sociali. La popolazione verrà sottoposta a privazioni e sacrifici. Però si tratta in fondo di una società che a dire dello stesso premier, finora, ha vissuto e vive in una condizione economica che rientra dentro i parametri e gli standards dei livelli di vita occidentali. Un’eventuale ingestibilità del debito pubblico italiano non significa, di punto in bianco, che la nazione perde la sua indipendenza politica come nel caso dell’interferenza di altri Stati stranieri nei suoi fatti interni. Gli ordini all’Italia non provengono da un governo nazionale europeo che non esiste, ma, bensì, da Francia e Germania. Cioè due Stati ancora, a tutti gli effetti, stranieri. L’Europa non dispone, ancora, di alcun governo eletto democraticamente. La commissione europea ed il suo presidente non sono organi di un qualche Stato organizzato in senso democratico, in quanto quegli organi esecutivi non sono espressione della volontà popolare, ma sono nominati dagli stessi governi degli Stati membri. Una prova della totale estraneità di questi organi ai metodi di funzionamento degli organismi politici nazionali è la mancanza del principio di adozione dei provvedimenti parlamentari sulla base della maggioranza degli aventi diritto al voto. Infatti, le decisioni per poter essere adottate, nel parlamento europeo, richiedono il raggiungimento dell’unanimità dei consensi di tutti i suoi rappresentanti. Non si tratta, infatti, nel caso dell’Unione europea, di uno Stato federale ma, bensì, di una confederazione di Stati. Si è discusso tanto in dottrina giuridica se questa entità politica potesse essere posizionata in una terra di mezzo tra la confederazione e la federazione di Stati.  In tanti lo hanno negato. Confesso che, fino all’emergere della grave crisi monetaria europea, ero propenso a credere che questa eventualità di uno scivolamento lento, progressivo, ma inevitabile ed inesorabile, verso l’Unione politica degli Stati fosse possibile e realizzabile. Ma, intervenuta la speculazione monetaria e finanziaria ad opera degli stessi istituti finanziari degli Stati più forti e ricchi dell’Unione, ho capito che al fondo dell’unione monetaria vi era solo un progetto diretto a vincolare economicamente i membri più poveri.  La Comunità europea a sei Nazioni, nacque per fini economici. Gli interessi che vi stavano alla base erano quelli delle grandi industrie e delle banche. Il suo primo nome era quello di C.E.C.A., comunità economica del carbone e del”acciaio.  Dietro gli Stati agivano questi gruppi economici sulla base delle valutazioni dei loro freddi calcoli di gestione contabile. Il conseguimento dei loro scopi era il parametro usato per valutare l’opportunità di un salto di qualità nella costruzione dell’alleanza e nella sua estensione ad altri partners. La trasformazione della comunità in unione europea fu dovuta al positivo evolversi di questa esperienza comune. L’introduzione della moneta unica avvenne sulla base di rigidi calcoli finanziari, in cui gli Stati valutarono il tornaconto delle rispettive economie. Il c.d. patto di stabilità serviva proprio a questo: far funzionare una politica monetaria comune senza una politica economica comune. La vera unificazione politica è stata sempre vista, esclusivamente, come una remota possibilità, per la cui realizzazione gli Stati più forti hanno sempre considerato non esistessero le condizioni. I vari Trattati diretti a questo scopo, principalmente quello di Maastrict, sono intrisi di buoni propositi ma di quasi nessuna concretezza. Pertanto, questo organismo è ancora sostenuto dagli stessi interessi economici da cui ha preso vita. Non essendo costituita una vera entità politica nazionale, essa rimane sostenuta e radicata sui rigidi calcoli di tornaconto finanziario delle grandi banche e delle industrie degli Stati economicamente più forti. La mancata adesione alla moneta unica da parte della Gran Bretagna è da interpretare in questo senso. Oggi, con la crisi economica mondiale, questo quadro è cambiato completamente. Le banche francesi e tedesche, non si fidano più degli Stati con un debito pubblico troppo elevato. L’attacco ai debiti sovrani degli Stati, arriva da questa direzione. Per di più, la connessione internazionale delle finanze, vede molto più collegati gli interessi di Francia e Germania con quelli degli Stati uniti e della Gran Bretagna, piuttosto che dell’Italia o della Spagna. Tutti i paesi del bacino del mediterraneo sono già emarginati economicamente, e, pertanto, comunque, già fuori dall’Europa. Anzi, ne stanno uscendo con le ossa rotta. Non solo economicamente, ma anche politicamente. La questione della sovranità nazionale lesa da diktat  imposti da autorità che non hanno alcun potere sovranazionale, è un fatto grave, nella misura in cui pone il nostro paese in una condizione di dipendenza e subalternità da forze estranee individuabili in Stati esteri, Francia e Germania, che agiscono sulla base della valutazione di propri interessi interni e non di un’entità sovranazionale che non esiste.  Inoltre, il commissariamento è un atto contro la nostra costituzione che all’art. 11 afferma  “L’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”. Non esistendo le condizioni di parità con gli altri Stati, questa limitazione della sovranità nazionale è incostituzionale! Le imposizioni subite dall’esterno non hanno il potere di vincolare lo Stato italiano che è e rimane uno Stato sovrano. Il debito pubblico può essere un motivo di uscita dalla zona euro, ma non di perdita della sovranità nazionale. Anche la disponibilità della Francia e della Germania di erogare ancora più impegnativi finanziamenti per evitare il fallimento è finalizzata a rendere ancora più difficile la situazione italiana. Se aumentano i finanziamenti, aumentano anche i debiti. Ed i conti pubblici diventeranno sempre più ingestibili. Autorevoli economisti internazionali, infatti, considerano che un default oggi, è meglio di uno, comunque certo, domani e consigliano, per l’Italia, un’uscita, immediata, dal sistema monetario europeo. E’ assai chiaro il processo di arricchimento finanziario innescato da questa crisi della moneta unica a favore delle potenze nordiche. Da questo dato di fatto si può desumere che sia fallito non solo il tentativo  di unione monetaria ma lo stesso progetto di unione politica europea. In effetti, il rischio che gli Stati poveri stanno correndo è assai più di un rischio, è una certezza. Quella di ritrovarsi, da qui a poco tempo, non solo con un debito pubblico assai più consistente, perché i rimedi imposti sono peggio del male, ma, anche a causa del ricorso inevitabile al finanziamento che non sarà perpetuo, perché a breve scadenza, questi Stati,  saranno messi assai peggio di adesso, con manovre finanziarie sempre più dure da affrontare. La verità è che questa crisi è senza alcun rimedio. Perché si tratta di una crisi che investe tutto il sistema capitalista mondiale. E i tanto decantati sistemi economici liberisti, con le privatizzazioni selvagge che implicano, i soliti tagli alle spese pubbliche, con conseguente perdita, progressiva, di ogni forma di servizio pubblico, i sacrifici economici e finanziari imposti a carico dei ceti sociali meno abbienti, il sostegno al sistema industriale  trasformato in una specie di spugna che assorbe ingentissime ricchezze pubbliche pur rimanendo sempre, perfettamente, asciutto, sono solo miserabili espedienti di uomini senza scrupoli morali ben determinati a spingere il mondo verso un inevitabile disastro. Perché se il socialismo internazionale, entrato in crisi si dissolse senza spargimenti di sangue, il capitalismo non farà altrettanto. Storicamente le crisi economiche del mondo occidentale sono sempre sfociate in guerre mondiali catastrofiche. Il futuro che ci attende, senza voler essere pessimista ad oltranza, pare essere proprio questo. Il mondo potrebbe incendiare appena verrà superato quel limite oltre al quale i popoli non saranno disposti a subire sacrifici. In Italia la situazione è aggravata dal fatto che al potere esiste un partito secessionista che non rema a favore ma contro gli interessi nazionali. Si è messo alle redini del comando non per costruire ma per distruggere. Esso sta facendo gli  interessi dei popoli nordici, alla cui razza dichiara di appartenere, disconoscendo quella italica. Lavora per la secessione del nord Italia e la ricostruzione dell’antico impero austroungarico. Un ministro delle finanze notoriamente leghista quale garanzia puo’ dare alla nazione? Le sinistre non avrebbero mai dovuto aderire all’opera di devastazione e saccheggio delle risorse pubbliche perpetrata da questo governo, prestando il proprio assenso alla manovra finanziaria appena varata, in nome di un malinteso senso di solidarietà nazionale. Perché se è vero che il rimedio è peggio del male, questi colpi all’integrità dello Stato ci porteranno alla catastrofe. Al nostro paese rimane solo una strada. Uscire dall’unione monetaria e dall’Europa. Perché qualunque altro male sarebbe meglio di questo. Il pericolo da affrontare è già conosciuto: la rabbia delle nazioni occidentali per la ribellione dell’Italia. Questo significa ovviamente conflitto, questa volta non solo ideologico, ma molto più concreto. Facilmente uno scontro militare che passerà, inevitabilmente, attraverso un regolamento di conti con la Lega nord.  L’Italia si dovrà rendere conto e capacitarsi di una verità ineludibile. Che il Paese, volente o nolente è già in guerra. Chiudere gli occhi oggi, non servirà a niente, solo a lasciarsi ancor più legare. Fino a quando non ci si potrà più, neppure, muovere. A questo punto, tutte le speranze saranno perse. Ogni reazione impossibile. Il governo in carica non reggerà alla gravità degli eventi che si stanno addensando come uno tsunami. E’ importante che le redini del potere vengano prese da una classe dirigente forte, formata da uomini veri, quelli che, inevitabilmente, si ergono e si elevano nei momenti più difficili, pronti ad assumersi le responsabilità più gravi. Chi ancora pensa che esistano manovre finanziarie capaci di raddrizzare questi conti tanto funesti, più privati che pubblici, si  dovrà ricredere. Quei conti non quadreranno mai. Hanno questa caratteristica di mostrare sempre una via d’uscita che non esiste, perché è pura illusione. Quante formule inventate dagli economisti per camuffare una verità fredda e dura come la pietra! Se il popolo si chinerà oggi, accettando di sopportare il giogo enorme che gli viene imposto, domani sarà ancora peggio. Tanto diventeranno esigenti ed implacabili, che alla fine sarà inevitabile una ribellione. L’Italia cessi di essere una schiava sottoposta ai voleri degli Stati più ricchi, ed abbia la forza ed il coraggio di intraprendere una strada sua, recidendo i fili che la tengono legata ai suoi aguzzini. Oggi il futuro  è nelle mani dei paesi emergenti. Quelli che si sono saputi slacciare dalla stretta mortale degli Stati colonialisti occidentali. La globalizzazione questo ci insegna. Imparino questa lezione tutte le nazioni del bacino del mediterraneo. Grecia, Spagna, Portogallo ed Italia. Capiranno che solo questa è la strada per il futuro che la storia umana ha loro riservato!