Le dimissioni del capo settore economico della BCE, ed il venerdì nero delle borse. La mancanza di fiducia nell’Italia aumenta.




Di Andrea Atzori
In tempi di crisi, come questi che stiamo vivendo, dopo il varo di una nuova manovra economica, si aspetta l’andamento delle borse, per valutare il grado di attendibilità che i mercati ripongono in quel provvedimento finanziario. Questa, ennesima, proposta legislativa del governo è nata sotto i peggiori auspici e le previsioni non sono mai state lusinghiere considerato il travagliato percorso  di gestazione che lo ha contraddistinto per il quale sono stati necessari gli interventi congiunti del presidente Napolitano e della BCE diretti a richiamare i responsabili alla realtà di una situazione che si faceva, ora per ora, più grave. Si tratta sempre di misure economiche che non sono, assolutamente, in grado di fronteggiare la crisi assai preoccupante in cui il paese è sprofondato. Oltre tutto, si limitano a tagliare le spese pubbliche, senza, però, dare valide soluzioni all’altra pressante, inderogabile, esigenza, che è quella di chiarire, in modo esplicito, come quei risparmi sui pubblici servizi, verranno impiegati per la ripresa economica. Cioè, come verrà stimolata la crescita della produzione. Il punto fondamentale, il nodo da sciogliere è proprio questo. Quello che ci chiedono gli organi della Ue non è il puro e semplice taglio alle spese dello Stato. Infatti, se fosse soltanto questo, sappiamo che questo governo, da quando è in carica, non ha fatto altro che tagliare e ridimensionare i servizi della pubblica amministrazione. Il vero e fondamentale inghippo, è quello di sapere dove vanno a finire le risorse così risparmiate. Serviranno a diminuire il crescere del debito pubblico, cioè a contenerlo, forse, ma non a ridurlo nella sua proverbiale ed abissale, entità.  Tenendo conto sempre che meno investimento nella struttura pubblica, significa, comunque,  drastica limitazione delle prestazioni di assistenza, previdenza, cultura, sicurezza, trasporti, energia, ecc. Questo vuol dire, in poche parole, recidere le gambe stesse su cui il settore produttivo si regge. Anche solo l’abbandono delle necessarie opere di manutenzione delle infrastrutture indispensabili per l’attività produttiva, significa perdere un patrimonio, inestimabile ed irrecuperabile che è stato costruito negli anni,   con il concorso ed i sacrifici finanziari di tutti settori del mondo del lavoro, non solo le imprese, ma, in modo particolare i lavoratori dipendenti. Fu quella evoluzione socio-economica positiva, dovuta alla crescita economica e produttiva che consentì il salto di qualità di tutta la nazione verso il progresso dell’era moderna. Basta pensare che, la giustificazione del metodo di calcolo retributivo delle pensioni vigente prima di questo attuale, cioè quello contributivo, era ricondotta proprio al contributo fondamentale dei lavoratori dipendenti nella realizzazione delle indispensabili e necessarie infrastrutture per tutto l’apparato produttivo nazionale. L’avere posto in discussione il ruolo delle funzioni pubbliche nel processo di evoluzione delle attività produttive, fu il più grande errore che i sistemi politici occidentali, abbiano mai fatto e che rende le economie di questa parte di mondo come un gatto che si morde la coda. Il privato non poteva mai sperare di rinunciare alla funzione di perno centrale che il pubblico ha sempre svolto nell’evoluzione del sistema produttivo. Per esperienza storica suffragata da argomenti di pratica applicazione e verifica quotidiana, il privato non può reggere allo sforzo di costruirsi da se stesso la rete di infrastrutture necessarie e sufficienti al sostegno di tutto il sistema produttivo nazionale. Inoltre, si violerebbero certi principi fondamentali delle moderne democrazie che esigono come asse portante, il rispetto del principio di inalienabilità del demanio pubblico e della disciplina giuridica del patrimonio pubblico nel rispetto della sua funzione di servizio pubblico, diretto a soddisfare le esigenze di tutti i cittadini indistintamente. D’altra parte, non si dimentichi mai, che anche la proprietà privata viene tutelata dalla costituzione repubblicana italiana, nella considerazione della sua alta funzione sociale. Per costruire e mantenere la rete delle infrastrutture era ed è necessario, l’intervento pubblico. Se questo potere dello Stato viene minato dai tagli incessanti alle spese, verranno anche spezzate quelle gambe su cui tutto il mondo produttivo cammina. Sono, queste, misure depressive dell’economia, che, alla lunga, faranno risparmiare lo Stato in termini di spese pubbliche, ma renderanno ancora più fragile l’economia, fino a farla crollare sotto al peso di quello stratosferico debito pubblico che non è stato, neppure minimamente ridotto. L’incapacità e l’inettitudine di questo esecutivo è facile da registrare, semplicemente, osservando la totale assenza dei provvedimenti legislativi diretti a far riprendere e decollare la crescita economica. E’ quello che ci rinfacciano gli organo finanziari internazionali ed anche italiani stessi, specie la nostra banca d’Italia e la Confindustria. La mancanza di idee del nostro governo su questo punto è totale. Non hanno proprio capito che se si deve ristrutturare una casa, non si può solo demolire, senza ricostruire. Come si può spiegare, d’altra parte che, nonostante gli incessanti tagli alla spesa pubblica, il debito pubblico continui a salire, anziché scendere  od almeno fermarsi. Esiste una incongruenza  e disonestà di fondo che non si può spiegare altrimenti, se non con la situazione di degrado morale in cui sono immerse tutte le istituzioni ed i loro rappresentanti politici. Il che significa dire che questa classe politica ed amministrativa dirigente,  che camminano di pari passo, non sono raccomandabili per eseguire quelle mosse tecniche indispensabili ed anche semplici, per reindirizzare la barra di navigazione della nave paese. Perché, come sempre ho sostenuto, in un regime economico di libertà assoluta dei mercati, i risparmi alle spese pubbliche non possono essere devolute alle aziende, in quanto entità private, ma devono mirare, esclusivamente, alla riduzione della pressione fiscale per tutti i contribuenti. Il che sarebbe, anche, un modo per far rientrare nell’alveo della legalità la maggior parte degli imprenditori che non pagano le tasse. Cioè, vincere la lotta contro il fenomeno micidiale dell’evasione fiscale. Se i cittadini devono rinunciare ai servizi, le tasse devono, assolutamente, diminuire. Invece, si assiste allo spreco delle risorse, che vengono devastate e divorate dalla classe politica. Inoltre ci sono incongruenze inspiegabili, quali progetti di ritorno al nucleare, su cui si sono comunque spesi una montagna di miliardi e su cui i politici hanno di sicuro lucrato, oppure, la costruzione del ponte di Messina, che non vedrà mai la luce, ma che costerà comunque una marea di soldi ai contribuenti. Per questi e tanti altri motivi, come ad esempio, la corruzione nella sanità, le pensioni ai falsi invalidi civili, la mancata abolizione totale delle pensioni di anzianità, nonché  la fissazione immediata del limite dì età pensionabile a 65 anni per le donne, oppure, la rimozione del divieto per il lavoratore, di permanenza volontaria al lavoro anche dopo il raggiungimento dell’età pensionabile per la vecchiaia, non si sono affrontati e sciolti, i nodi fondamentali che aspettano ancora ed inutilmente il governo italiano. Una vera tassa fissa e non una tantum, sui patrimoni di una certa consistenza, è anch’essa, una misura inevitabile ed indilazionabile.  La vera misura, epocale e rivoluzionaria, in grado di tacitare i mercati e l’UE, in quanto potenzialmente idonea a far ripartire il processo di crescita economica dell’apparato produttivo nazionale, sarebbe quella della riduzione delle imposte per tutti i contribuenti, rispettando il principio di progressività del prelievo fiscale, imposto dalla nostra costituzione. Perché stimolerebbe sia i consumi che gli investimenti. E non si venga, ancora e sempre a lamentare che lo Stato  divora troppe risorse,  tanto per nascondere la verità del fatto che sulle risorse dello Stato si addensano gli interessi criminali di troppi speculatori senza scrupoli sia esterni che interni all’apparato pubblico, come, quotidianamente, risulta dall’opera immane e lodevole condotta dalla magistratura schierata a difesa degli interessi di tutta la comunità, che quelle risorse paga di tasca propria, vedendosi anche privata di quei servizi indispensabili per svolgere la sua vita quotidiana di lavoratore, studente, genitore, malato, pensionato ecc. Se aumentano i ticket sanitari o il prezzo dei biglietti di treni, bus o tranvie o quello della benzina, chi soffre sono tutti i cittadini. Si lavora di meno e si consuma di meno. Si produce, pertanto, anche di meno. Il pubblico è vitale al privato, come il privato lo è per il pubblico. L’importante è trovare la via giusta che concili i due interessi, tra loro inestricabilmente connessi.  Per questi motivi, non credo che questo governo, paralizzato proprio dai tantissimi procedimenti giudiziari a carico dei suoi esponenti di spicco, a cominciare dal premier, sia come, ormai, “ad abundantiam”, dimostrato, in condizioni di preparare e varare una manovra che sia in grado di soddisfare i mercati finanziari internazionali. La lotta di Berlusconi è solo quella contro i magistrati che considera il suo unico, vero, nemico, in quanto ostacolo all’instaurazione del suo regime totalitario, in cui, sia lui che i suoi seguaci, saranno legittimati a fare tutto ciò che vogliono, senza leggi che li condizionino. Un disegno che si traduce nella fine drammatica della nazione, sia come Stato sovrano, a causa del risorgere in pieno XXI secolo, dei sistemi e metodi imperanti nell’antico feudalesimo di matrice religiosa, sia come struttura economico- produttiva. Ma anche l’opposizione deve dare dei segni di riscossa, perché pure in essa, sono troppi i deficit di legalità e democrazia che l’assimilano alla maggioranza. A partire dal punto decisivo del difetto di laicità nella sua politica e nella troppa invadenza, che anche in essa si fa sentire, dei clericali. Il fatto che in parlamento, non si sia riusciti a far passare un emendamento alla manovra, quello presentato dai radicali, che rendeva, nel nostro ordinamento, la chiesa cattolica, soggetto passivo di imposta, come tutti gli altri cittadini od enti, con la collusione e la complicità di tutti gli schieramenti politici, compreso il PD, è un fatto gravissimo, che la dice lunga sull’origine dei mali corruttivi annidati dentro a tutto il mondo politico nazionale. Se il feudalesimo deve sparire dal nostro mondo contemporaneo, ormai proiettato verso il futuro del progresso scientifico e tecnologico, non orientato a ritroso, verso i secoli bui della storia, un moderno Partito democratico non può diventare la porta e lo strumento, attraverso cui, il potere religioso  entra e si impossessa di quello politico.  Risolto questo problema fondamentale e decisivo, spariranno anche tanti altri problemi che parevano irrisolvibili, tipo quello della corruzione dilagante in tutte le strutture pubbliche. E’ una cosa umiliante per la ragione umana che uomini pluri-perseguiti dalla magistratura, per reati contro il patrimonio pubblico,  si sentano protetti, nascondendosi sotto le sottane delle gerarchie cattoliche. Schierando un potere di natura solo spirituale contro quello istituzionale dello Stato italiano. I politici inquisiti non possono stare in parlamento ne in altre istituzioni pubbliche. Non è sufficiente, come dice il cardinale Scola, una confessione per assolverli, per cui, il cattolico, se vuole andare in paradiso, non ha più diritto di giudicare! Sarebbe troppo facile. Purtroppo questo è il sistema sognato dai nostri politici, senza distinzione di colore o schieramento. Il dramma italiano è questo. La nostra economia, è inutile negarlo, è un peso per l’Europa. Se non si cambia mentalità, non ci sono speranze. Il primo, vero, grande cattocomunista è proprio il premier Berlusconi, che, come un illusionista di professione, illude gli italiani, menando il can per l’aia. Ma da lui non sono dissimili tutti gli altri. Basta pensare alla propaganda della c.d. rottamazione della classe dirigente del PD, organizzata ad arte dal più raccomandato e privilegiato dei politici italiani, l’elemento di spicco, la punta di diamante del potere vaticano dentro al PD. Se questo significa cambiare in meglio l’Italia, significa che è proprio messa male e senza speranze.