Il tabù dei costi della politica. I parlamentari italiani, chiusi in una campana di vetro.








Di Andrea Atzori

La lotta ai privilegi dei parlamentari pare non abbia vie d’uscita. Abbiamo subito, per decenni, maggioranze e governi che hanno issato la bandiera del riformismo per illudere gli elettori a prestare il proprio consenso alla loro scalata al potere. Hanno rivoltato da capo a fondo la pubblica amministrazione, additata come la causa principale e la fonte di tutti i mali. Hanno colpito, dappertutto e dovunque, per fare cassa. La spesa pubblica è in continua, forte, riduzione, fino ai minimi termini.  Eppure, il debito pubblico continua a crescere, il paese è in ginocchio, la crisi economica ci attanaglia sempre più ed il sistema produttivo chiede altre misure e risorse per far decollare la crescita. Un quadro fosco, assai preoccupante, in cui la casa pare crollare addosso ai suoi occupanti, senza che nessuno possa o sappia fare qualcosa per evitare il disastro.  Allora sorge, spontanea una domanda. La responsabilità primaria per questa situazione di chi è? Sembrerebbe, dalle misure economiche prese finora, che essa sia solo dei cittadini, lavoratori, studenti, pensionati, imprenditori, professionisti, ecc. Perché, il peso di questa crisi solo sulle loro spalle è stato fatto ricadere. Eppure, in ogni paese, che ancora conservi un minimo di buon senso, specie civico, non sarebbe difficile ammettere e riconoscere come principale imputato del male lamentato,  proprio e solo i politici. Che però reagiscono, ribaltando le accuse sugli amministrati, come se il grande onore di occupare gli scranni del parlamento, non rivestisse ed integrasse, anche e soprattutto, una forma altissima di responsabilità personale nei confronti dei cittadini e della stessa nazione personificata. Hanno fatto intendere al popolo  che le cause del dissesto economico e morale che ha corroso le basi stesse dello Stato, non fossero la corruzione imperversante e dilagante nel loro stesso mondo, come il fenomeno tangentopoli faceva sospettare e presumere, ma la struttura amministrativa troppo fatiscente ed arretrata delle istituzioni repubblicane, arrivando, perfino, a insinuare l’opportunità di un cambiamento di regime in senso autoritario ed illiberale. Eppure, dopo tante strafalcionate riforme introdotte nel sistema amministrativo-economico e sociale,  non solo la situazione non è migliorata, ma sta, velocemente, precipitando nella catastrofe. Arrivati ad un punto di non ritorno, i nostri beati politici, neppure per un attimo, vengono sfiorati dal dubbio che forse non era vero che i mali lamentati venissero tutti dalle vecchie legislazioni del nostro ordinamento giuridico. Che, forse, se di riforme si trattava, si sono dimenticati di quella  più impostante, cioè, proprio quella che li interessava più direttamente, quella della politica. Ma i nostri parlamentari non ci sentono da quell’orecchio. Infatti, dal loro punto di vista, solo loro sono i depositari della sovranità nazionale e si considerano infallibili, come il Papa quando dichiara un suo dogma. Siamo ancora ai tempi in cui il potere temporale, come quello spirituale si considera, direttamente, discendente da Dio stesso e, pertanto, indiscutibile ed infallibile. Persino il governo Monti, messo con le spalle al muro, ha dovuto cedere, rimettendo nelle mani stesse della  politica la  soluzione al problema dei suoi costi. Ben sapendo che è solo un modo per dichiarare la propria impotenza.  Eppure,  proprio questa conclusione, che sembrerebbe un trionfo della politica, in realtà, è solo il suo atto di morte. Perché, nel terzo millennio, una classe politica che si arrocca nel proprio castelletto, a difesa dei propri meschini interessi e privilegi, è solo un piccolo mondo chiuso in se stesso, sotto assedio di un’intera comunità nazionale.  E’ la prova più evidente che si sono estraniati dalla realtà che li circonda, che sono fuori dalla modernità, che la loro fine avverrà comunque in tempi rapidi, ma non in modo indolore, ma assai drammatico. La stessa rivendicazione di una sovranità parlamentare dietro a cui trincerarsi per evitare di subire i tagli doverosi alla spesa  della politica, pagata dai contribuenti, è intollerabile, non solo per il momento di gravissima crisi in cui il paese è sprofondato, ma perché l’art.69 della Cost.  afferma ”I membri del parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge”.  Questo significa che il disegno di legge non deve essere esclusivamente ad iniziativa parlamentare, ma può essere anche governativo, come un decreto legge, o, addirittura, popolare. E’ inevitabile che debba passare attraverso l’approvazione  parlamentare, ma non sarà il parlamento a decidere sul contenuto e la qualità del testo della legge.  Ieri notte, il programma Report, condotto dall’eccellente Gabanelli, ha messo in onda un servizio giornalistico del settembre del 2003, sulle spese della politica. Per conoscere il trattamento economico di favore che i nostri parlamentari godono, rispetto a quelli delle altre nazioni europee, non c’era neppure bisogno di aspettare gli esiti della commissione Giovannini, il direttore dell’ISTAT, e capire, di conseguenza,  la situazione di privilegio di cui godono i nostri parlamentari. Essi guadagnano troppo, non solo e non tanto per lo stipendio vero e proprio, comunque, superiore alla media di quelli europei, ma soprattutto per il sistema delle diarie e degli indennizzi, del tutto fuori controllo, che arrivano a quadruplicare l’emolumento base. E’ l’assenza di limiti e regole precise, appositamente voluto, che determina lo spreco di risorse finanziarie inverosimili. Se teniamo conto della totale inadeguatezza ed incapacità della classe politica nostrana, certificata dalla bancarotta incipiente in cui l’Italia sta scivolando, simili retribuzioni faraoniche sono del tutto ingiustificate. Bisogna, inoltre, sfatare il luogo comune, secondo cui gli indennizzi per le spese sostenute dai parlamentari per tenere i contatti con il proprio elettorato, sarebbero indispensabili per consentire che anche chi non è ricco, possa essere eletto e svolgere, a parità di condizioni  con   gli altri, le sue funzioni pubbliche.  Infatti, normalmente, i nostri parlamentari, ma questo vale per tutti i politici, provengono da famiglie ricche ed aristocratiche, tanto che si tramandano gli incarichi di padre in figlio, come per ogni altra professione privata. Il nostro parlamento è imbottito di personalità dello spettacolo e dello sport, selezionati apposta, per la loro affermazione professionale e notorietà, facile accesso al consenso elettorale.  I senatori dell’antica Roma,  erano ricchi ed aristocratici, ma non erano pagati. Svolgevano il loro ruolo pubblico, come un servizio, un dovere civico, a dimostrazione dell’ attaccamento alle proprie istituzioni repubblicane.  Oggi, al contrario, i nostri politici, sono, non solo ricchissimi e corrotti, ma anche strapagati. Sarebbe il caso, pertanto, di rimuovere certi luoghi comuni. Perché la stragrande maggioranza di questi venali ed inconsistenti personaggi, sarebbe meno attratta verso un mondo tanto lontano, astrofisicamente, dalle loro competenza professionale, evitando, pertanto, di fare ancora del male all’intera comunità. I senatori romani, si preparavano, fino da adolescenti, con  lo studio indefesso, presso i migliori maestri, fossero epicurei o stoici, per acquisire quella cultura della civiltà classica, necessaria a svolgere le loro funzioni al servizio della comunità.   Erano spese sostenute dalle famiglie di origine, senza alcun contributo delle istituzioni pubbliche.  Considerata la corruzione e la pretesa di immunità della nostra classe politica, credo essere un antidoto assai efficace, quello di tornare agli antichi sistemi dell’Impero romano. Se il politico non verrà retribuito, assisteremo al fenomeno di scrematura del marciume di cui è intrisa la nostra politica nazionale. Intanto è indispensabile cominciare a limitare gli sprechi più evidenti, eliminando gli enti inutili, le province, accorpando i comuni con meno di 5000 abitanti, riducendo il numero dei parlamentari, ai minimi termini, e quello dei consiglieri comunali e regionali. La parola d’ordine deve essere tagliare, perché è proprio la politica, il cancro che divora il paese. Con le sue interconnessioni malavitose e con  l’imprenditoria malata di assistenzialismo pubblico. Se il politico avrà vita dura, la nazione ricomincerà a respirare.  Assisteremmo al ridursi del numero stratosferico dei simboli di partito che in questi anni si sono tanto moltiplicati da rendere ridicole le schede elettorali con cui esprimiamo il nostro voto.  Tutto questo si può ottenere con un forte movimento di opinione informato e motivato. La distanza tra il cittadino e la politica è destinato a crescere, se il politico insisterà a chiudersi a riccio sulle sue pretese di appartenenze trascendentali,  alimentate da un ceto clericale che vive, vegeta e prospera in questo clima di imperversante ed inarrestabile corruzione. I nostri politici hanno fatto parlare di se più per le loro vicissitudini giudiziarie che non per i successi sul fronte della crisi e le risposte alle esigenze del paese. Con quale diritto rivendicano trattamenti di favore e privilegi tali da renderli superiori ed intoccabili?  I tempi sono maturi per un cambiamento che ci riporti ad un livello di normalità a cui, ormai, i nostri pseudi-politici  ci hanno disabituati.