Università degli studi: potente strumento di evoluzione civile e democratica.

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 Di Andrea Atzori

Non esiste crisi peggiore di quella delle idee. Pare, infatti, che ad ogni fase storica di depressione sociale ed economica, si accompagni, spesso e volentieri, anche quella di una carenza endemica di menti fertili e produttive nei più svariati settori strategici per la crescita culturale e materiale di una Nazione. Questo si risente specie quando, anche tenendo conto delle interconnessioni a livello mondiale favorite dalle moderne tecnologie, il bagaglio culturale di una comunità nazionale si affievolisca ed il processo di sviluppo delle conoscenze subisca delle contrazioni.
Si tratta di freni all’espansione e diffusione del sapere, azionati da forze reazionarie nemiche del progresso, nostalgiche di stili di vita e assetti dell’ordine sociale ormai superati da secoli di continua evoluzione spirituale e materiale dell’essere umano e della società in cui vive, di cui la storia registra e conserva, come fedele contabile, i dati più significativi e determinanti.
Il sogno del genere umano può concretizzarsi in una tensione verso altri mondi nuovi da costruire, abbattendo barriere millenarie, in cui seppellire per sempre, ignoranza ed inciviltà, oppure annichilirsi e sprofondare nel rimpianto di un passato storico ormai ridotto a spazzatura, scartata, inesorabilmente, dall’incessante opera di rinnovamento e cambiamento che la natura umana, cosciente delle sue potenzialità, non smetterà mai di porre come traguardo per le sue ambizioni e senso profondo al suo stesso esistere!
Le fughe nel passato sono sempre pericolose, perché si tratta di mondi ormai scomparsi, aridi deserti, in cui non esiste più nulla, travolti dallo scorrere inesorabile del tempo che tutto distrugge, logora e corrode; frutto di menti che hanno perso il possesso della loro lucidità, vinte dall’odio e rose dall’invidia. Incapaci di confrontarsi con le nuove realtà che il progresso umano partorisce, incessantemente ed inesorabilmente. Se la macchina del tempo venisse, finalmente, inventata e costruita, credo che nessuno avrebbe alcun dubbio nel decidere se tornare nel passato o proiettarsi nel futuro!
Questa premessa ci fa capire quanto il tramonto di una civiltà e l’inefficienza di un sistema sociale, economico e politico, possano essere determinati dalle resistenze di una classe dirigente incapace di vedere oltre lo stretto orizzonte dei meschini interessi personali o di parte e di recepire le istanze urgenti di strati sociali sempre più bramosi di partecipare, a pieno diritto, alla realizzazione della società del futuro.
La scuola pubblica ha una fondamentale importanza in questo compito. Il suo fallimento, finora, è stato determinato proprio dal progetto del suo smantellamento a favore di altre entità di natura privata. In cui i principi costituzionali di democrazia non trovano alcuna considerazione. L’insegnamento privato, per la costituzione italiana è libero, ma senza oneri per lo Stato, per cui le scuole private non possono e non debbono essere da questo finanziate.
La superiorità del sistema privato su quello pubblico, se esiste, può e deve essere dimostrata esclusivamente, quando ciascuno di questi diversi settori, seppure non contrapposti e separati ma connessi, funzionano però, nel rispetto di regole diverse, concepite e predisposte per ciascuna di essi, senza deviare nel regime giuridico in cui opera per sua stessa natura l’altro.
Un privato che rivendichi la sua superiore efficienza sul sistema pubblico, non può poi chiedere e pretendere, per sopravvivere, di essere da questo sostenuto con risorse finanziarie derivanti dal prelievo fiscale operato sulle tasche dei contribuenti, che pagano le tasse per ottenere servizi pubblici non per finanziare attività private. Sarebbe un controsenso!
Ed infatti, la crisi profonda in cui degenera la scuola pubblica è in gran parte da addebitare alla lotta scatenata dai privati per accaparrarsi la ricca torta di un mercato della formazione scolastica che fa gola a molti, in particolare a quelli di estrazione confessionale, cioè la stragrande maggioranza. La scuola pubblica ha bisogno di risorse, energie, non valutabili solo economicamente, ma anche e soprattutto alla stregua di contributi individuali alla crescita del patrimonio culturale e spirituale di una nazione.
Non è un mistero per nessuno che le crisi di democrazia si riflettano, inesorabilmente, sulla incapacità di rinnovamento delle energie intellettive utili ed indispensabili per il conseguimento di sempre nuovi traguardi nell’avanzamento tecnologico e scientifico. Il fenomeno della fuga dei cervelli all’estero non è conseguenza della crisi economica, come troppo spesso si propaganda, facendolo rientrare nel comune grande calderone della disoccupazione giovanile, ma, al contrario, legata da rapporto di causa ed effetto con essa; l’innesco di un circolo vizioso che dalla crisi della democrazia, porta diritto alla crisi delle idee e da queste alla crisi di natura economica.
L’Italia sconta le conseguenze di un ritardo culturale, dovuto a mal posti e peggio risolti problemi di conflittualità tra strati sociali che ancora non trovano la capacità di sublimare le proprie istanze verso un obiettivo comune; incapaci di rendersi chiaramente conto di trovarsi tutti immersi nella stessa condizione di difficoltà e che, o ci si salva insieme o si perisce insieme. Le risorse umane sono le prime energie che fanno funzionare al meglio una Nazione. Si tratta di organizzarle e sfruttarle nel modo più efficiente all’esclusivo scopo di trarne il beneficio massimo da esse, realisticamente, conseguibile.
Questo paese è fucina di grandi professionalità, ed ha dimostrato nel passato, di possedere potenzialità illimitate nell’esprimere fortissime personalità nel mondo accademico, stimate ed apprezzate nel mondo intero; assise con merito nel ristretto stuolo di scienziati geniali che hanno contribuito ad imprimere un impulso decisivo al miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità ed abbattere quei muri, duri, spessi e resistenti, che hanno costretto a brancolare nel buio dell’ignoranza, per millenni, anche le menti più fervide e produttive.
Per fare solo alcuni nomi, è recente la nomina della prof.ssa Fabiola Gianotti a direttrice del CERN di Ginevra. Ancora possiamo annoverare la scomparsa senatrice a vita Rita Levi Montalcini, il prof. Carlo Rubia, l’astronoma Margherita Hack, tutti nostri contemporanei, a cui possiamo aggiungere il premio Nobel per l’economia Franco Modigliani e per la letteratura Dario Fo.
La vergogna assai infamante però, sta nel fatto incontestabile, che la maggior parte dei nostri ricercatori, sono costretti ad emigrare all’estero, per poter ottenere il meritato premio, cioè il riconoscimento del loro valore. Nel nostro paese, per un ricercatore universitario è assai difficile se non impossibile, trovare inserimento dignitoso dentro alla comunità accademica, se non legato da stretti vincoli familiari o di parentela con i c.d. “Baroni universitari”.
Il segno incontrovertibile di una società ingessata che sbarra le porte al cambiamento, che si assume la gravissima responsabilità di tagliare le gambe al progresso, con tutte le altre conseguenze derivanti da questa stagnazione nel processo di evoluzione sociale quali appunto, il progressivo impoverimento del livello di eccellenza delle nostre università, e conseguente emarginazione internazionale.
Insomma, l’istruzione smette di essere un bene riconosciuto di valore fondamentale per la nostra comunità, svilita, deprezzata e disprezzata nella sua funzione di educazione e diffusione del sapere e lasciata in totale balia delle entità private, a cui favore vengono anche devolute le risorse finanziarie pubbliche indispensabili al loro funzionamento. Un’esperienza già vissuta nei tempi più oscuri del genere umano, tramandato dalla storia come basso medio evo, in cui l’istruzione era totale prerogativa del ceto clericale.
Uno Stato non può rinunciare ad uno dei suoi compiti fondamentali, quale questo di garantire la formazione scolastica ed in particolare a livello universitario, perché perderebbe il controllo del settore più strategico per la sopravvivenza di una moderna democrazia; oltrechè le speranze di un ritorno sulla strada che conduce diritta verso il futuro e non ad un passato già condannato dalla storia e di cui non esiste più nulla se non morte e macerie!
Questo “grande equivoco” è stato l’arma con cui sono stati demoliti, a colpi di piccone, decenni di sforzi enormi, prodotti dal nostro paese per tenere il passo con i tempi e mantenersi al livello delle Nazioni più evolute. Cioè la teoria maliziosa, secondo cui sarebbe stato il progresso incontrollato ad avere provocato la situazione di crisi economica e di debito pubblico che attanaglia il paese. La verità, invece, a parer mio, è che forze reazionarie ancora troppo potenti, hanno deciso di inquinare questo processo di avanzamento sociale, attraverso la corruzione infinita da cui tutte le istituzioni pubbliche sono state pervase, ma in particolare queste della pubblica istruzione. E non si riuscirà a risolvere questo endemico problema della crisi in cui sprofondano le università degli studi, se non si accetterà fino in fondo questa verità.
Il fatto cioè, essersi trattato, non di vero progresso, e qui sta l’equivoco, ma solo di falso progresso, in cui non è stata rispettata la prima regola che sta alla base del regime democratico. Cioè il principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, perché qualcuno ha creduto, sbagliando, di essere più uguale di altri. Se si tenta di arginare la furia travolgente di un fiume in piena, e di deviarne il percorso, il risultato assai prevedibile è che al posto di un corso d’acqua potente ed impetuoso, avremmo una semplice pozza stagnante e maleodorante!