Imponente concentramento di forze Nato alla frontiera della Russia per l’operazione Atlantic Resolve.

 

Di Andrea Atzori

Vengono diffuse, dalla stampa alternativa, ma tacciute severamente, da quella maintream, notizie relative all’arrivo sui porti tedeschi, di un’intero esercito di decine di migliaia di uomini e circa tremila carri armati e tank americani, destinati in Polonia, per la c.d. esercitazione Atlantic Resolve, alla frontiera della Russia. Un tale imponente dispiegamento di forze, secondo autorevoli analisti militari, sarebbe un preludio all’invasione del territorio russo. Nell’imminenza del passaggio di poteri tra Obama e Trump, una tale operazione tanto minacciosa per la sicurezza dei confini territoriali della superpotenza asiatica, viene interpretata come decisione finalizzata a mettere con le spalle al muro la nuova amministrazione che si insediarà il 20 gennaio, ormai costretta a prendere atto della situazione così come determinatasi, senza alcuna possiblità di porvi rimedio.

La qual cosa puzza di truffa e non convince, perchè oltre ogni logica e sensatezza. In quanto un presidente anche degli Stati Uniti, non può, men che mai negli ultimi giorni del suo mandato, ordinare un attacco militare contro una Nazione, la Russia, la cui potenza conclamata, implica l’innesco di un conflitto nucleare di portata mondiale, senza l’autorizzazione dell’organo legislativo del suo paese, in questo caso il Congresso americano. Scrivono, genericamente, di un gravissimo stato di minaccia russa ai confini dell’Europa, come si trattasse di atto di autodifesa in costanza di attacco militare del nemico già in essere. La qual cosa è, palesemente, un falso; la Russia non ha mosso un dito in questa direzione.

Altri argomentano trattarsi, piuttosto, di un desiderio incontenibile di revance, di vendetta nei confronti della Russia, per avere mandato a monte i piani Usa sull’occupazione militare della Siria, ormai cosa fatta e poi sventata dall’intervento della Russia in questa guerra spietata, combattuta senza scrupoli da un esercito di terroristi su procura e sostegno logistico, finanziario e militare, di una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. La qual cosa contiene certo del vero, essendo stata, fin dall’inizio, la guerra in Siria preordinata all’isolamento della Russia in funzione dell’accerchiamento delle sue frontiere in vista del prossimo imminente attacco, ormai deciso, da parte della Nato. Però, credere che Obama abbia potuto assumersi una tale responsabilità di violare i principi fondamentali del diritto su cui si regge ogni Stato moderno, in base al quale per scatenare una guerra è necessario ottenere, preventivamente, l’autorizzazione dell’organo legislativo, al di fuori persino, dello stato di necessità, assolutamente, inesistente e negli ultimissimi giorni del suo mandato, dopo avere pronunciato il suo discorso di addio alla Nazione, mi pare francamente, incredibile più che poco probabile. La realtà, come sempre, sta forse nel mezzo.

Trump, non solo non ha disconosciuto, ma ha riconosciuto, ufficialmente, il dosser sugli hacker russi che avrebbero violato, su ordine di Putin, i server del Partito Democratico per sostenere lui stesso, Donald Trump, nella campagna elettorale in cui è risultato vincente. Pertanto, non ritirerà le sanzioni imposte da Obama, cioè la cacciata dei 35 diplomatici russi contro cui Putin non ha voluto reagire in attesa dell’insediamento del nuovo presidente. Situazione che avevo ampiamente, previsto in anticipo. Ma anche questa stranissima decisione di procedere frettolosamente, come pressati da un’urgenza indifferibile, nelle operazioni militari contro la Russia, a pochi giorni dal cambio di inquilino alla Casa Bianca, è assai sintomatico del gioco sporco pianificato dietro le quinte, per tenere la Russia tranquilla, in quanto molto fiduciosa nel fatto nuovo di un presidente americano disponibile, almeno a parole, a normalizzare i rapporti tra i due paesi.

Secondo il mio punto di vista si tratta solo di un gioco delle parti, organizzato di proposito tra gli alti esponenti della politica statunitense, di entrambi gli schieramenti politici, repubblicani e democratici. Lo svolgimento degli eventi in successione, non fa altro che confermare questa teoria del complotto ai danni della Russia e di Putin. In ogni caso sarà molto difficile che la potenziale vittima abbia abbassato il livello di guardia e tensione nei confronti di uno stato di crisi nei rapporti internazionali, ormai sprofondato in una guerra regionale, tuttora in pieno svolgimento. Insomma, la campagna elettorale americana si è svolta nel rispetto rigidissimo. di un copione scritto fin dall’inizio, per demonizzare la Russia e legittimare agli occhi dell’opinione pubblica, un’aggressione militare proprio nei giorni antecedenti al cambio di consegne tra i due presidenti, quello uscente e quello entrante.

Anche la dichiarazione del nuovo segretario di Stato USA, Rex Tillerson, accreditato come amico personale di Putin ed incaricato da Trump, secondo cui il riconoscimento della Crimea da parte degli Stati Uniti, avverrebbe solo a condizione che Mosca riconosca la legittimità del nuovo governo golpista insediato a Kiev dopo gli eventi di piazza Maidan, pone gravissimi problemi alla soluzione della crisi ucraina, in quanto è tuttora in corso una rivolta nei territori del Donbass, contro l’autorità centrale ucraina, che reclama un’ampia autonomia territoriale tale per cui si richiederebbe, una riforma della costituzione ucraina in questo senso. Accordo su questo punto, già siglato con il trattato di Minsk, ma mai attuato da Kiev, che anzi medita di riprendere i combattimenti per piegare i rivoltosi. E’ molto difficile che Putin accetti queste condizioni tout court, sic et simpliciter.

Staremo a vedere, ma, a parer mio, Trump continuerà a comportarsi secondo la condotta già espressa in partenza. Cioè, prenderà atto dei fatti posti in essere dal suo predessore, senza opporre alcuna reazione. Accettando tutto, senza discutere nè muovere un dito. Direi anzi di più. Che di suo aggiungerà l’aggravamento della crisi in estremo oriente, sia contro la Corea del Nord, che contro la Cina. Portando alle sue estreme conseguenze un conflitto mondiale già in atto. Tenteranno forse, agli inizi, di minimizzare l’aggressione, nel tentativo di far retrocedere le divisioni dell’esercito russo schierato lungo le sue frontiere. Tasteranno la risolutezza della classe dirigente russa nel difendersi, pagando un prezzo altissimo per la sua popolazione.

Ma le guerre di frontiera, non sono più attuali se combattute da schieramenti militari dotati delle più moderne armi belliche. La tecnologia militare proietta i conflitti in ogni più piccolo e remoto angolo del pianeta, nessuno escluso. La prossima guerra mondiale, fin da subito, si propagherà come olio e ne verranno investite sia l’Europa che gli Stati Uniti. La portavoce del ministero degli esteri russi, Maria Zakharova, ha dichiarato su questa vicenda assai preoccupante, che “come dio ha creato il mondo in sette giorni, Obama lo distruggerà in appena due giorni di più”, cioè quei nove giorni che separano l’insediamento di Trump alla casa Bianca. Questo per sottolineare il fatto di quanto una guerra globale del terzo millennio, non possa mai neppure nascere come guerra di frontiera ma fin da subito si trasformi in totale e finale.