Lettera di 600 professori universitari al governo. Gli studenti universitari scrivono male nella lingua madre e difettano anche all’orale.

 

 

Di Andrea Atzori

Seicento professori universitari ed esponenti di spicco del mondo della cultura scrivono al governo chiedendo interventi urgenti contro il degrado delle istituzioni scolastiche nazionali. Gli studenti universitari avrebbero un livello di formazione da scuola elementare.

E’ scoppiato il bubbone. Il virus della peste è stato incubato per decenni dentro alle istituzioni scolastiche italiane ed ha finalmente schiuso le sue uova. E’ uscito allo scoperto il mostro, terribile, assolutamente repellente. Uno schifo di essere, curato e coltivato, tirato su come fosse stato un pargolo prediletto, il frutto del primo amore della coppia reale, presentato al mondo dai detentori del potere divino, dell’ordine sociale imperante. Hanno avuto il coraggio di lamentarsi, di scrivere, firmare e inviare una lettera alle più alte cariche responsabili della pubblica istruzione, con cui esprimevano tutto il loro sdegno, disgusto nell’osservare il risultato di quel parto primigenio della tanto osannata divinità. Parrebbe, ma non è un’esagerazione. E’ la pura e semplice verità. Hanno calpestato con ferocia, livore e odio di classe alla rovescia, il principio meritocratico, attaccando le basi fondanti della Costituzione democratica, in particolare il principio di uguaglianza, contenuto nell’art. 3 della costituzione, per mantenere in auge il privilegio sociale derivante dall’appartenenza all’aristocrazia intellettuale e censitaria. Una guerra in piena regola combattuta senza esclusione di colpi, in particolare facendo uso dell’arma della frode e del sopruso. Saldando, ancora una volta, il patto millenario tra potere temporale e potere spirituale. L’alleanza tra Chiesa e Stato, per salvare il privilegio. Perché il socialismo non era un ordine naturale, ma solo una teoria utopistica, ed altrettanto si è rivelato essere, secondo la loro reazione personale all’obbligo giuridico derivante dalla legge fondamentale repubblicana, pure il sistema democratico. Non più salvaguardie, non più garanzie sociali e giuridiche, in perfetto stile reazionario clerico-fascista, ma solo un ritorno senza condizioni, alla totale libertà del signore medioevale di fare, indiscriminatamente, i propri porci comodi. Oggi, gli arrembanti scalatori delle vette vergini ed innevate dei principi introdotti nelle legislazioni moderne in virtù degli esiti del secondo conflitto mondiale, in ossequio al principio Kelseniano (Hans Kelsen, giurista e filosofo del diritto, austriaco, nato nel 1881 e morto nel 1973), secondo cui le leggi derivano dalla forza, dopo avere ottenuto ogni sorta di vittoria, sul piano della demolizione dei diritti, lamentano un catastrofico fallimento nel loro compito di formazione delle giovani generazioni di studenti che frequentano le scuole pubbliche o paritarie nazionali. Se il servizio di istruzione pubblica non funziona la colpa è in primo luogo degli stessi docenti. Queste eminenti personalità, di spicco nel panorama culturale italiano, scese in campo contro il degrado che denunciano alle autorità, sono quelle stesse che hanno imposto le riforme in senso liberale della scuola italiana, sull’onda dell’entusiasmo per le proprietà taumaturgiche delle terapie economiche e sociali, nonché politiche, consistenti nelle sfrenate e selvagge privatizzazioni, in ogni settore della vita pubblica, quindi anche in quello della formazione e della cultura. Meno fondi stanziati per i servizi pubblici e tanti di più per le imprese private. Meno statalismo, con tagli ai servizi pubblici e più liberismo con le privatizzazioni. Togliere i finanziamenti alle istituzioni pubbliche e darli alle imprese. I cittadini che pagano le tasse non per finanziare lo Stato ma le banche e le aziende private. Anche la scuola italiana ha subito lo stesso destino. Le scuole private, in particolare quelle di estrazione confessionale, sono state parificate alle scuole pubbliche e se di fallimento si deve discutere, è bene che in questo discorso vi debbano essere coinvolti tutti gli istituti di istruzione, rimettendo in gioco la questione del valore delle privatizzazioni come rimedio contro il degrado nel settore scolastico. La realtà è quella per cui, tutti gli attacchi al servizio pubblico in ogni campo, furono e ancora sono, motivati dall’ingerenza sfrontata degli interessi privati dentro a quelli della comunità nazionale, rappresentata dalla generalità dei cittadini e quindi del popolo italiano. Insomma, ogni pretesto è stato buono pur di arricchirsi ai danni dell’erario pubblico. L’intento non era quello di migliorare la qualità della formazione degli studenti ma solo di fare cassa. Partendo da tali presupposti, le conseguenze non potevano esser diverse dal fallimento cui oggi assistiamo e di cui proprio i principali responsabili si lamentano. Oggi fanno finta di essere caduti dalle stelle, come avessero avuto le traveggole. Ed invece no. Loro sanno bene quali siano state le cause del disastro cui assistiamo. E non devono fare finta che si tratti di un problema di poco conto. La questione in oggetto è di fondamentale importanza per il futuro del paese, che appare già compromesso, non di meno che il presente. Lo scenario che abbiamo davanti agli occhi è desolante: quello di una devastante catastrofe. Insomma, un paese senza formazione scolastica, nel terzo millennio è da considerare da terzo mondo. Per cercare i responsabili bisogna andare proprio nelle istituzioni deputate a gestire il servizio scolastico. Cioè proprio coloro che oggi si atteggiano ad essere sbalorditi e increduli per questo stato di cose. Docenti, presidi, provveditori agli studi, sovrintendenti alla pubblica istruzione, ministri della pubblica istruzione, presidenti del consiglio dei ministri. Oggi propongono rimedi che sono peggiori del male, non potendo aspettarsi niente di buono da chi è lo stesso responsabile di quei mali di cui fa solo finta di meravigliarsi. Non so se ci rendiamo conto ciò di cui discorriamo. Stiamo parlando di studenti universitari che non sanno esprimersi bene neppure oralmente, nella loro lingua madre, figuriamoci con lo scritto. Nella denuncia fatta da questi esponenti apicali del mondo culturale italiano, risulta che il livello di conoscenza ed apprendimento è appena da licenza elementare. Io capisco che in un paese in cui il ministro della pubblica istruzione è appena dotato della licenza media, mentre la maggior parte dei ministri sono tuttalpiù diplomati quando va bene, ci sia ben poco di cui meravigliarsi e rallegrarsi. D’altra parte, scriveva George Orwell, che degli americani ha sempre avuto poca stima, “la democrazia concepita dall’americano medio è quella per cui la sua ignoranza vale tutta la cultura di una persona istruita”. Allora, se il sistema va a rotoli, i primi ad essere chiamati in causa debbono essere coloro che avevano il compito di selezionare la classe docente. Negli anni passati, prevaleva il metodo delle graduatorie provinciali fondate sul punteggio acquisito tramite i titoli posseduti, essendo molto ridotta la disponibilità dei professori di ruolo, per cui si faceva ricorso a supplenti annuali. Ovviamente, proprio in queste procedure di reclutamento del personale docente si scatenava tutta la corruzione, umanamente, concepibile. Ricordo che negli anni ottanta e novanta, quando, vanamente, cercavo di ottenere una nomina, mi recavo al provveditorato degli studi di Cagliari e trovavo sempre, davanti alla porta dell’ufficio del provveditore, un folto gruppo di giovani donne che aspettavano il loro turno per entrare dentro e quando uscivano dicevano, spudoratamente, ad alta voce il giorno in cui il provveditore le aveva assicurato quando e dove avrebbero ottenuto l’incarico. Insomma la graduatoria provinciale era solo una truffa. Il responsabile ha sempre avuto il potere di fare come pare e piace a lui, in barba alla legge. Per quanto riguarda le prove scritte ed orali dei concorsi per il passaggio in ruolo, non è neppure il caso di dubitare di quanto i figli dell’alta società siano sempre stati i favoriti. Quelle poche volte in cui non hanno potuto frodare alle prove scritte, in quanto alle prove precedenti, come accadde alla fine degli anni ottanta, arrestarono gran quantità di commissari d’esame, politici e candidati, hanno poi riparato agli orali, dando sfogo ai loro istinti più bestiali. Ricordo che alle prove orali del concorso di abilitazione all’insegnamento, trattenevano fin quasi due ore i concorrenti che volevano bocciare a tutti i costi, mentre trattandosi di figli di personaggi ben in vista come avvocati di grido od altri esponenti dell’alta società, bastavano due parole per essere dichiarati idonei. Il giorno in cui sostenni la mia prova orale, era il 19/Maggio/1992, non lo dimenticherò mai perché era il giorno del mio compleanno, eravamo sette concorrenti tutti molto preparati, ognuno venne trattenuto per circa un’ora e mezza, ma ne passarono solo due, la figlia di uno dei più noti penalisti di Cagliari con l’amica, promosse in appena cinque minuti. Poi gli organi informativi diffusero le false notizie che i professori di ruolo erano ormai sufficienti per ricoprire le cattedre e non avrebbero neppure più proceduto ad assegnare supplenze annuali. Per bocciarmi in quell’occasione dovettero ricorrere ad una domanda che non esiste. Alla fine della prova, i colleghi maschi si riversarono su di me e mi circondarono chiedendomi se mi rendevo conto di cosa mi avevano fatto. Il presidente della commissione d’esame, un senatore di Forza Italia, preside di un istituto tecnico di Iglesias, che Berlusconi si portava spesso a fianco nei convegni e con cui appariva nei TG, ci girò intorno infuriato, destandomi nell’intimo un bruttissimo presentimento, per cui mi slacciai dal cerchio con cui i colleghi mi avevano stretto. E presto la verità mi fu rivelata in tutta la sua devastante portata. Infatti, nel percorrere per il rientro alla mia abitazione, la via Garibaldi, la più elegante di Cagliari, in cui è inibita la circolazione degli autoveicoli, mi sentii affiancare da un’auto che viaggiava alla mia stessa andatura. Vidi che si trattava di una macchina della polizia con due poliziotti davanti e tre dietro con il mitra in mezzo alle gambe, mentre dall’altro lato della strada un frate domenicano, con la tunica bianca ed il mantello scuro, alto più di due metri, camminava allineato ad entrambi, così da formare uno strano terzetto, dal significato per me assai minaccioso, in quanto ne compresi subito tutta la gravità, mentre i passanti di cui la via era stracolma, scomparvero tutti all’improvviso, come d’incanto. La via Garibaldi si era fatta deserta! Dopo essere stato respinto, ingiustamente, all’esame orale di abilitazione, venivo anche trattato come un delinquente comune. Non ebbi molta difficoltà a capire l’avvertimento implicito in questa lugubre messinscena. L’alleanza tra Stato e Chiesa per la gestione del potere era ancora pienamente operativa. Lo Stato italiano non è mai stato, veramente, laico. Nell’istituto in cui insegnavo in provincia di Cagliari, come supplente annuale, dopo 16 anni di lotte, solo perché ebbi la fortuna di scoprire una truffa che mi avevano ordito alla convocazione precedente, arrivò una mattina una telefonata con cui si avvertiva che un ordigno esplosivo era stato piazzato dentro alla scuola. Dal comando dei carabinieri giunse l’ordine che gli alunni non si muovessero dalle aule. Infatti, era questo il periodo in cui le telefonate di false notizie di attentati alle scuole, erano finalizzate a diffondere il terrore. Per questi motivi le autorità, al fine di impedire che gli scopi di questi criminali venissero raggiunti, imponevano che nessuno, personale docente o discente, uscisse dalle classi. Quando arrivarono due carabinieri armati con il mitra, tutti i colleghi professori erano già usciti dalle aule, lasciando dentro, incustodita, la scolaresca. Con i militari rimasi solo io e la vicepreside, costretta per dovere d’ufficio. Non vennero trovati ordigni e ricevetti le congratulazioni della vicepreside per la mia positività, così la chiamò. Per intanto, lo Stato ad insegnare ha chiamato quei docenti vigliacchi degni conterranei di Schettino. Fornendo con ciò un cattivo esempio alle giovani generazioni di studenti. Cosa, pertanto, abbiano di cui lamentarsi, se gli studenti arrivano pressochè analfabeti all’università, non si capisce. Però non c’è di cui disperare, in quanto, comunque, i figli di papà taglieranno l’ambito traguardo della laurea e verranno subito chiamati a ricoprire incarichi d’oro. L’ordine voluto dal creatore dell’immenso universo, grande almeno 13,8 miliardi di anni luce, è salvaguardato. Insomma quel creatore tanto potente non sarebbe proprio riuscito a fare di meglio. Non solo, ma neppure tollererebbe un miglioramento di un tale stato di cose che chiamarlo ordine è solo un eufemismo. Insomma, nulla si crea e niente si distrugge da millenni e per tutti i millenni a venire. Le sofferenze per il genere umano saranno assicurate e garantite, anche per il prossimo futuro. Comunque, quei professori che mi rifiuto di chiamare colleghi, vennero nominati di ruolo, dimostrando così che nella vita niente si guadagna a fare gli eroi. Avevano ragione loro. Anche se, a parer mio, non c’è bisogno di essere dottori per capire quale sia il comportamento giusto da tenere in determinate circostanze. Ma se uno non lo capisce, diciamolo chiaramente, è e rimane un ignorante anche se, in virtù della sua ascendenza, per volontà divina, verificata da santa romana chiesa, viene abilitato all’insegnamento nelle scuole statali. E’ facile obiettare che costoro erano assai più preparati e meritavano, pertanto, questo riconoscimento. Oggi però, a giudicare dalla situazione in cui sprofonda la scuola italiana, chi si meraviglia di questa realtà è solo un ipocrita. Non ha alcun senso, infatti, organizzare all’università corsi di recupero di lingua italiana, per gli studenti, quando di tali corsi avrebbero bisogno pure i docenti; quando gli studenti sono chiamati a seguire corsi e sostenere esami di lingua inglese, in tutte le facoltà universitarie, per dimostrare quanto siano bravi e preparati nella lingua aulica, eletta dagli dei dell’Olimpo. Oppure organizzare corsi di aggiornamento per docenti, tenuti di sicuro da persone ancora più ignoranti e incompetenti di loro, se fosse possibile. Infatti, questi sono solo espedienti assai collaudati per ottenere altri ulteriori finanziamenti pubblici da destinare ai soliti raccomandati a cui verranno affidati gli incarichi di programmare, organizzare questi corsi, forse aziende private. Corsi in cui, il personale docente non sarà selezionato in base al merito, ma solo con il solito sistema della raccomandazione. Saranno selezionate docenti distintesi per meriti in servigi resi a favore di manager pubblici o eminenti personalità della cultura. Insomma non c’è mai limite al male. La realtà che ho esposto risale ai primi anni novanta, oggi di sicuro è assai peggiorata. Le cronache dei telegiornali parlano di giovani che si drogano in classe sotto lo sguardi diretto degli insegnanti. I veri responsabili utilizzano i danni da loro stesso prodotti, come scusa per proporre rimedi che, inevitabilmente, aggraveranno quei mali, anziché risolverli. All’indomani stesso, saremo peggio e d’accapo. Come consigliavano gli ufficiali della regia marina borbonica ai propri marinai, quando arrivava l’ispezione, non sapendo e quindi non potendo fare alcuna delle cose giuste, almeno “facite ammuina”, fate qualcosa per dimostrare di essere attivi non oziosi. Fate rumore, muovetevi, non rimanete con le mani in mano, tanto per illudere chi vuole sapere cosa siete capaci di fare. In un articolo pubblicato su La Stampa il 10/01/2017, a firma di Mimmo Candito, dal titolo assai esemplificativo “Il 70 per cento degli italiani è analfabeta, legge, guarda, ascolta, ma non capisce), si distingue tra analfabeti strutturali e funzionali. Premesso che ancora esiste un cinque per cento di analfabeti strutturali che non sanno riconoscere nemmeno i segni della scrittura od i numeri, una stragrande maggioranza della popolazione, come certificato dall’ISTAT, non riesce a capire ciò che legge o sente. Guarda la televisione, ad esempio, ma non capisce il senso di quello che si dice. Legge un giornale ma non riesce a comprendere il contenuto di ciò che vi è scritto. Lo chiamano analfabetismo funzionale. La scuola italiana è in preda al caos, alla confusione più assolute. E’ chiaro che studenti ignoranti di oggi saranno anche intellettuali altrettanto ignoranti domani, cioè la negazione stessa dell’uomo di cultura. Se solo il 20 per cento della popolazione possiede un livello culturale tale da comprendere e seguire il filo di un discorso orale o scritto, questo è il segnale, inoppugnabile, che l’Italia è ancora un paese arretrato. Le crisi, economiche, politiche e sociali, in cui la nostra società è immersa anche a questo sono dovute. Anzi, c’è stato un regresso persino, nei confronti del passato. Ed è un errore, come tanti fanno, dall’alto della loro ignoranza, imputarlo alle rivolte studentesche sessantottesche. Prima di tutto perché anche quelle c.d. rivolte, tali in effetti non erano. In quanto gli studenti veri non lottavano ma studiavano. Lo scrivente, studente universitario in quegli anni, non partecipò mai ad alcuna manifestazione studentesca. Così come tanti altri amici e compagni di studi di quegli anni. Ma, invece, furono proprio i professori universitari a pilotare false rivolte, combattute da persone che niente avevano a che fare con la classe studentesca, al fine di destabilizzare il sistema per scopi reazionari non certo rivoluzionari. In virtù di quelle lotte, oggi chi gode di titoli di studio regalati e posti di comando apicali non sono coloro che hanno perso la propria giovinezza negli studi, ma sempre i privilegiati per censo o classe sociale di appartenenza. Ed era a questo che volevano arrivare. Era questo il loro obiettivo. In effetti nella scuola italiana i c.d. figli di papà , sono sempre stati super-avvantaggiati. Ma ancor di più lo sono stati dopo il conseguimento del titolo di studio, in quanto hanno trovato subito tutte le porte aperte. Oggi, questo degrado assoluto, inimmaginabile, è sintomo dello sfascio di un’intera comunità nazionale. In tanti non riescono a vedere il male che si annida dietro questa situazione, perché l’Italia ha perduto gran parte della sua sovranità a favore dell’Europa, che si legge, in effetti, Germania. La tecnica è stata sempre quella di gettare tutti i problemi in braccio all’Europa, nella convinzione che l’ordine giuridico e sociale interno non avrebbe mai potuto risentire contraccolpi. L’Europa funzionava, secondo i loro disegni, da garanzia alla stabilità. In Europa si sperimenta un periodo di pace settantennale. Ma, oltre un certo limite, a certe condizioni, la situazione diventa intollerabile, tanto che neppure l’Europa può reggere un tale peso. Ed infatti, stanno venendo a galla tutte le falsità ed i sotterfugi che stanno sotto al progetto di unione europea. I tedeschi non sono scemi ed hanno capito fin dall’inizio il gioco sporco degli italiani; hanno usato l’unione economica e monetaria europea, per i propri scopi ed interessi, condizionando i poteri delle altre nazioni, tanto da limitarne e di molto, la sovranità nazionale. Oggi la Merkel predica una Europa a due velocità, con il segreto intento di mollare le zavorre costituite dai paesi del sud Europa, in particolare l’Italia. Ma credo sia l’intero sogno di unificazione europea ad essere ormai, sul viale del tramonto. Quando l’Italia uscirà, volente o nolente dall’Europa, si renderà conto, purtroppo, di tutta la gravità della situazione in cui sono sprofondate le sue istituzioni nazionali. In pratica, il travalicamento dei principi contenuti nella costituzione democratica, hanno portato, fatalmente, al crollo dei pilastri su cui è costruito uno Stato di diritto. Non solo è fallita la funzione cui tendevano le istituzioni democratiche, ma, inevitabilmente, sono sparite le stesse strutture su cui si regge uno Stato moderno. Non esiste più lo Stato democratico, essendo il suo posto già occupato da poteri privati ed organizzazioni ad esso estranee. La sovranità nazionale non è più in mano al popolo ma alle banche ed alla Chiesa. Cioè i c.d. poteri forti. L’avvento di un potere autoritario sembra proprio inevitabile. Quel porto di mare procelloso e spaventoso che solo al pensarci ogni mente sana si sente inorridire e smarrire.

Post scriptum

Il fallimento della funzione formativa della scuola media inferiore si riverbera, ovviamente, su quella media superiore e quindi, anche sulle facoltà universitarie. Pertanto è tutto il mondo del lavoro a risentire di queste carenze e di questi difetti, trattandosi di aspetti della vita economica e sociale che sono, strettamente, interconnessi. Le aziende sono in crisi e con esse tutto l’apparato economico e produttivo del paese, in quanto non esiste più personale specializzato in grado di competere con le capacità espresse dagli altri paesi del mondo globalizzato. Le imprese non assumono personale, in particolare giovane, quando si rivela essere non idoneo a garantire livelli produttivi e qualitativi concorrenziali. Le statistiche sulla disoccupazione giovanile parlano chiaro. Non solo, ma, oltre alla formazione specialistica, esiste un deficit in particolare sotto l’aspetto, prettamente, umano. Infatti, i giovani di oggi sono troppo presuntuosi, arroganti e poco propensi alla disciplina personale. In particolare troppo dediti all’uso di stupefacenti ed alcoolici, oltre al disordine nella sfera dei rapporti umani ed in quella sessuale. Le famiglie hanno abdicato da tempo a questa loro funzione formativa e le altre istituzioni, “in primis” quella scolastica, non aiutano. C’è da rimarcare che sia stato un male la rinuncia al principio di selettività negli istituti scolastici. Purchè si basi su metodi di valutazione giusti ed imparziali, nel rispetto rigido ed inflessibile di due principi fondamentali, quello meritocratico e quello di uguaglianza. Nella breve esperienza che ebbi di insegnamento in alcuni istituti superiori, ebbi all’inizio un brutto impatto. In quanto venni a scoprire che la scuola che conoscevo era divenuta, completamente, non solo diversa, ma proprio altra cosa. Trovavo inconcepibile che mentre io impartivo la mia lezione, gli alunni se ne stessero rannicchiati a coppie di maschio e femmina, attaccati ai termosifoni, anziché seduti sui banchi ad ascoltare in religioso silenzio. Una tale circostanza, ai tempi del mio liceo classico, sarebbe stata considerata da manicomio. Situazione di cui mi lamentai, imputando a questo fatto la condizione che sperimentavo di impreparazione assoluta sulle diverse materie di mia pertinenza. Pare che questo mio sfogo sia piaciuto poco ai genitori dei ragazzi che, infatti si rivolsero al preside che subito convocò un consiglio di classe con la partecipazione dei docenti e dei genitori. Le accuse nei miei confronti non sortirono alcun effetto, in quanto, da persona sensata quale ero, essendo appena arrivato e dovendo redigere i giudizi con i voti per il quadrimestre in scadenza, avevo confermato quelli già attribuiti dagli insegnanti che mi avevano preceduto. Per cui il preside fece subito sciogliere il consiglio dei professori, chiudendo la sessione di lavoro per mancanza di materia del contendere. Ma questa storia non finisce qui. Infatti, mentre tutti uscirono dall’aula, lasciando la porta socchiusa, rimasi da solo dentro la stanza e mentre gli altri continuavano la discussione nell’andito, di fronte alla porta, mi avvicinai per ascoltare quello che dicevano. Ciò che sentii mi raggelò il sangue. Infatti, il preside raccontava ai suoi interlocutori, cioè, docenti, genitori ed alunni, che la scuola che conoscevo non esisteva più e che non mi orizzontavo dentro alla nuova realtà. Disse che lui a Cagliari gestiva cinque bordelli in cui lavoravano anche professoresse e studentesse. Queste notizie mi illuminarono sulla nuova realtà assurda che avevano costruito nel mondo scolastico, che con gli studi e la formazione aveva ben poco da spartire e condividere. Decisi, pertanto, di non insistere in un impegno personale forte a favore dei ragazzi dell’ultimo anno, ormai già abituati a quei sistemi usati negli anni precedenti e indisponibili ad accettare radicali cambiamenti. Ma decisi, invece, di usare i miei metodi di insegnamento e formazione nelle classi dei primi anni in cui gli alunni erano ancora meno influenzati dalle esperienze passate e più recettivi e disponibili al cambiamento, che in pratica era la visione che avevo io della scuola, per come l’avevo conosciuta nel mio trascorso giovanile. Il mio successo era stato tanto completo ed incontestabile che, quando finiva l’orario delle lezioni e tutti gli studenti uscivano per rientrare nelle loro abitazioni, si notava una differenza molto evidente tra gli alunni degli altri colleghi, che loro stessi riconoscevano, ed i miei. Infatti, mentre tutti gli altri camminavano in modo disordinato per la strada della cittadina, solo la mia scolaresca rimaneva unita e compatta come un gruppo ben ordinato e solidale. Sia la cittadinanza che gli stessi miei colleghi notarono bene questa situazione e ne rimasero assai colpiti, quasi stupefatti. Gli esiti che ottenni erano stati tanto positivi che alla fine del quadrimestre successivo, furono i miei alunni a riportare ottimi voti, mentre gli altri ebbero dei risultati disastrosi di cui si lamentarono con vigore. Anche il personale ausiliario dell’Istituto ebbe i suoi commenti da fare. Infatti li sentii dire tra loro che sapevano bene quanto fosse stato forte il mio impegno, in quanto ogni mattina, mentre io ero in classe, puntuale a fare lezione, gli altri colleghi si presentavano molto più tardi, lasciando soli nelle aule ad aspettare, i loro alunni. Ecco spiegata la differenza di resa tra le mie classi e quelle degli altri colleghi, di cui poi, molto si lamentarono proprio i genitori degli allievi. Gli studenti devono andare a scuola per studiare non per essere usati nei bordelli per il sollazzo di danarosi clienti. Ecco spiegato il motivo per cui poi, all’atto pratico, quando si tratta di ottenere un incarico di insegnamento, non sarà mai il più preparato e meritevole ad ottenerlo, ma colui o colei che dispensa piaceri nei luoghi a ciò deputati. Questa denuncia delle grandi personalità del mondo c.d. della cultura, di cui mi stupirei se riuscissi a constatarne ancora l’esistenza, serve e svolge solo alla funzione del classico “facite ammuina”, usato nei vascelli della regia marina del regno delle Due Sicilie. Questo profondo stato di crisi, dicevo, dal mondo della scuola si riflette poi ed investe tutto il mondo del lavoro. In particolare nelle professioni liberali e nel pubblico impiego, che risentono, infatti, di una gravissima e conclamata, inefficienza strutturale e difficilmente sanabile. Il caso della grande malata, la giustizia italiana, è assai emblematico. L’Italia ha subito dei procedimenti sanzionatori da parte della comunità europea proprio per la situazione estrema di oltre cinque milioni di cause arretrate, in seguito ai quali sta pagando cifre colossali, varie centinaia di milioni di euro, a titolo di sanzioni. I nostri governi, in particolare questo di Renzi, non hanno saputo fare di meglio che tagliare l’arretrato in modo artificioso. Per chi conosce il mondo giudiziario italiano, le cause del disastro non hanno segreti. Il responsabile è il monopolio imposto dalla casta dei grandi studi legali, attraverso le aderenze e connivenze con quella della magistratura. In ogni palazzo di giustizia, funziona un sistema di controllo della distribuzione della pratiche giudiziarie tra i più importanti studi legali, basato sui rapporti di parentela intercorrenti tra di loro. In pratica la giustizia italiana non serve agli interessi dello Stato ma a quello delle famiglie nelle cui mani si accentra il potere giudiziario. Anche la giustizia nasce già privatizzata. Costoro si tramandano questo potere di padre in figlio, come fosse un’azienda familiare. Una realtà di fatto cristallizzata da secoli e che difficilmente, potrà risentire delle modifiche. Neppure guerre e rivoluzioni sanguinarie l’hanno mai cambiata nei secoli nè mai riusciranno a cambiarla in futuro. La riforma varata dal governo Renzi si è guardata bene dal liberalizzare dentro alla galassia forense. No. E’ chiaro che se, alla carenza di magistrati si somma anche la chiusura dentro alla professione forense, il risultato è scontato. Le cause si accumulano in pochi studi legali che hanno formato i loro cartelli, in base anche a rapporti di parentela e amicizia con magistrati e sono destinate a durare decenni, specie quelle più rognose, che nessuno dei contendenti vuole perdere, oggetto, ad ogni udienza, di continui rinvii che salassano la clientela ed ingrassano gli avvocati. Tanti giovani avvocati sono senza lavoro e non aspetterebbero di meglio che cimentarsi, mentre le cause stagnano, solo destinate a garantire una fonte di reddito fisso per parassiti sociali senza scrupoli. La trovata di Renzi è stata emblematica, perché, anziché girare le viti per liberalizzare il sistema, le ha strette, ulteriormente. Non ha trovato di meglio che imporre tasse e ulteriori ostacoli insormontabili per i giovani avvocati, al fine di impedire loro di lavorare e costringerli anzi, all’abbandono. Per esempio, per fare l’avvocato d’ufficio, la riforma Renzi impone cinque anni di attività professionale certificata da un certo numero di cause svolte annualmente. Renzi ha agito come quel medico che anzichè curare l’arto ferito, lo amputa, direttamente. Ha tolto le cause in corso ai giudici ed le ha affidate al potere dispositivo degli stessi avvocati che le tengono in carico, ai quali è stato riconosciuto il potere di raggiungere, attraverso attività di conciliazione tra le controparti, degli accordi ai quali viene conferito lo stesso valore delle sentenze giudiziarie. Insomma, si ricorre alla magistratura in quanto le parti litigano, ma Renzi le toglie ai giudici, i soli autorizzati per legge ad amministrare la giustizia e le restituisce alle parti, chiedendo che si mettano d’accordo. Siamo, veramente, arrivati al “non plus ultra”. Una vera e propria sceneggiata in piena regola, tutto per non riconoscere il diritto al lavoro anche degli avvocati giovani che non sono figli d’arte. Il regresso mantiene sempre il suo primato. Il salto non è mai avanti ma sempre indietro, come i gamberi. Sopratutto è scaduta la qualità professionale degli avvocati. Una realtà che si riallaccia allo stesso fenomeno che abbiamo visto e sperimentato in fatto di formazione scolastica. Infatti, il progresso vero non è quello di laureare tutti e abilitare tutti. In quanto chi non è figlio di….., non troverà comunque lavoro anche se fosse bravissimo, mentre per chi è figlio di……, la regola che vale è opposta. Anche se incapace ed ignorante, il lavoro è sempre assicurato. Un giorno in un palazzo di giustizia, parlavo con un collega di questi problemi e lui mi spiegava che, siccome era stato molto spesso commissario agli esami di avvocato, gli capitava spesso di incappare agli esami orali, in candidati che non sapevano esprimersi in italiano, ma solo in dialetto napoletano. Ora lui si lamentava, ma come poteva abilitare alla professione un candidato che non sa parlare la lingua italiana? Sarebbe un controsenso! Ecco dove sta l’inganno. Sia nelle università che agli esami professionali, hanno promosso ed abilitato tutti, tranne i veri meritevoli, in quanto non avevano interesse ad affrontare la vera concorrenza; anche il lavoro sarebbe stato comunque, ferreamente, blindato, in omaggio ed ossequio al principio di solidarietà di casta. In ogni caso è sempre meglio evitare situazioni o casi imprevedibili. Come quello che capitò al sottoscritto, quando alla sua prima causa, vide soccombere sia la controparte che il suo difensore avvocato, che non rassegnandosi alla sconfitta, commise un reato di calunnie che gli costò l’arresto. Intanto lo scrivente non ha esercitato la professione, mentre il figlio di quell’avvocato ha potuto continuare l’attività del padre. Mi sono reso conto che il male non è solo dentro alle istituzioni. Esso è diffuso dentro a tutto il tessuto sociale. Nella società, quella lotta tra bene e male, propagandata dalle religioni, è solo mistificazione. In effetti è sempre il male a regnare sovrano, senza soffrire alcuna forma di resistenza od opposizione da parte di presunte o supposte, contrapposte forze del bene. Gli esseri umani seguono solo il proprio fatale destino che è quello di sterminarsi, vicendevolmente, ad ogni fase storica, predeterminata, quasi matematicamente, con guerre o rivoluzioni, violente e sanguinarie.